L’OMBELICO D’ORO / Quando la cronaca ti sorpassa e porta 12 mila foto di Zaffagnini a Cesena, ascolta post rock con Transmissions

Bentornati a l’Ombelico d’Oro, rubrica culturale indecisa per tempi dogmatici. L’intenzione era quella di dedicare questo pezzo al Fondo Bellosi-Zaffagnini, ma la cronaca mi ha anticipato. Ricapitoliamo per gli assenti. Giuseppe Bellosi e Giovanni Zaffagnini (il primo registrando, il secondo fotografando) iniziano a documentare i riti e i saperi della cultura contadina romagnola dagli anni ’70, quando ancora erano vivi gli ultimi testimoni dell’Ottocento pre-industriale.

12 mila fotografie e migliaia di ore di materiali audio della Romagna dell’età del pane

Girando in lungo e in largo la Romagna, i nostri eroi, poco più che trentenni, riescono a catturare per i posteri le ultime tracce di un mondo al tramonto: il mondo dell’età del pane, per dirla con Pasolini, prima che venisse mutato per sempre dalla modernità. Il risultato è un fondo di 12 mila fotografie e migliaia di ore di materiali audio, in cui si possono vedere e sentire le voci, i visi, i riti, i dialetti dei nostri avi. Il nostro passato. Pensate alle potenzialità scientifiche e didattiche di questo progetto per gli studi etnografici non solo romagnoli, ma italiani ed europei.

Ora, fino a pochi giorni fa il destino di questo Fondo sembrava ancora incerto. Zaffagnini aveva ricevuto una lauta offerta da un’università americana, interessata ad acquisire i suoi scatti; le registrazioni di Bellosi, al contrario, sarebbero rimaste in Romagna, alla Fondazione Oriani di Ravenna, in parte già digitalizzate. Oggi scopriamo che il patrimonio visivo raccolto da Zaffagnini, grazie all’intermediazione della Regione, andrà alla Biblioteca Malatestiana di Cesena.

Una buona notizia, certamente. Ma, senza cedere ai campanilismi, che ho sempre e francamente detestato, c’è da chiedersi se l’istituto cesenate avrà il personale adeguato per valorizzare e rendere completamente fruibile questo patrimonio – che in ogni caso rimane “diviso”, sebbene di pochi chilometri. Come scrive Bellosi stesso, l’auspicio era piuttosto quello di costituire “un Archivio regionale di Etnografia e Storia sociale sul modello di quello esistente presso la regione Lombardia”.

Se ne avessi avuto il tempo, mi sarebbe piaciuto lanciare una provocazione. Perché non adoperarsi, a livello politico e universitario (cosa ci stanno a fare, altrimenti, le università? A calcolare il residuo fisso delle acque minerali?), per costituire questo archivio presso il Palazzo Rasponi dalle Teste? E quale destinazione migliore per un palazzo recentemente restaurato, che ancora fatica a trovare un’identità precisa? Senza contare il delizioso contrappasso di vedere i tronfi saloni addobbati da questa famiglia violenta e proto-mafiosa (andatevi a leggere le cronache del Seicento, se pensate che stia esagerando…) usate per valorizzare la millenaria e bistrattata cultura contadina.

Ma, come dicevo, la cronaca mi ha anticipato. Andremo a vedere le foto di Zaffagnini nella bellissima Biblioteca Malatestiana. Un’occasione persa per Ravenna? Il punto interrogativo è d’obbligo. Staremo a vedere. Fine prima parte.

Giovanni Zaffagnini
Pan American

Un po’ di complessità in più rispetto al polpettone rimasticato del pop

Inizio seconda parte. In cerca di materiale culturale su cui mettere le mani, mi sono fatto consigliare dai miei amici musicisti e sono andato all’Almagià, per seguire la prima serata di Transmissions, festival di musica sperimentale targato Bronson, curato quest’anno da Francesco Donadello.

Due i musicisti ospiti della prima serata, mercoledì 24 novembre: Andrea Belfi (impressionante la capacità di questo artista di tenere il palco e immergere nel suono il pubblico, partendo da una batteria e da un pad elettronico) e Pan American, pseudonimo di Mark Nelson, uno dei padrini del post rock, nonché nome di spicco dell’etichetta di Chicago Kranky.

Sono andato a rispolverare vecchi saggi musicali. “La casa discografica leader del post rock nacque nel 1993 (…) Ha molto contribuito a fare della città dell’Illinois il centro della scena non soltanto americana ma mondiale, e con uno stile tanto inconfondibile che prestissimo si cominciò a parlare di “suono Kranky”, ha influito sul formarsi del canone post rock”, così scrivevano Eddy Cilia e Stefano Bianchi in Post Rock, un volume pubblicato da Giunti nel ’99.

Difficile (e lungo) definire a parole il genere; bisognerebbe assistere a un concerto per capire immediatamente di che si tratta. E il live di Pan American è stato una breve lezione di stile, elegante e piacevolissimo, arricchito da splendide proiezioni.

Non fate adesso l’errore di correre su Youtube e cercare la sua musica. Ascoltereste per qualche minuto e poi passereste ad altro, come ho fatto io prima di vedere il live all’Almagià. Quelle di Pan American sono atmosfere musicali sospese e rallentate, a metà fra colonna sonora e suites elettro-acustiche. Bisogna ascoltarle dal vivo, prendersi il tempo e lasciarsi trasportare, e allora ecco che la musica prende un altro colore.

A volte la chitarra sembra accennare a una ballata tradizionale, ma subito viene riassorbita dai riverberi e dall’eco; altre volte la voce di Nelson, fra il roco e il sussurrato, accarezza qualche verso, ma senza arrivare a una melodia compiuta. In sottofondo rumori di conversazioni lontane, finestre su altri spazi. Uno stile compositivo che potrebbe ricordare il tempo lungo di un racconto scritto, con temi portanti, divagazioni, salti temporali, momenti onirici.

Siamo davanti a un crocevia di stili musicali, che ruba da tutti gli altri senza prendere una forma definita – appunto un “post” categorie, non meglio etichettabile. Ma quanto piacevole!

Ascoltare dal vivo un artista contemporaneo che sfidi l’orecchio, che offra all’ascolto una complessità maggiore rispetto al polpettone rimasticato del pop a cui siamo ormai assuefatti; qualcosa che porti a farsi domande e a perdersi, che sfugga all’evidenza e lasci il tempo di riflettere, senza imporsi con la forza alla nostra attenzione: è un bel regalo quello che ci ha fatto Transmissions.

Pan American