L’OMBELICO D’ORO / Il curioso caso della libreria Scattisparsi di Ravenna, dove non troverete la classifica dei libri più venduti, ma belle sorprese

Più informazioni su

Bentornati all’Ombelico d’Oro, rubrica culturale idealista per tempi pragmatici. Su dieci regali che faccio, almeno otto sono libri. È una deformazione, ne sono consapevole. Mi basta vedere l’espressione sul viso di chi riceve le mie strenne: una sorta di rassegnata accondiscendenza che sembra dirmi: “Va bene, grazie… Ma a trent’anni dovresti sapere che esistono altri negozi, oltre alle librerie”.

Che ci devo fare? Le uniche vetrine che ammiro sono quelle delle librerie. Capite bene che, col Natale in arrivo, non posso consigliarvi altro che questo: non tanto un romanzo, un saggio, un fumetto, ma un luogo. Una libreria. Perché una libreria è qualcosa di più di una semplice fila di scaffali. Si può evincere molto dello stato di salute culturale di un paese osservando le sue librerie (se ci sono).

A Ravenna ultimamente spuntano come funghi. Due solo quest’anno. Un buon segnale? Direi di sì, ma dipende anche da che tipo di fungo abbiamo in testa. Ci sono alcune librerie in cui non mi sento a casa. Come definirle? Librerie-autogrill? Ce le avete in mente tutti.

Queste librerie sono luoghi luminosi e asettici, così poco libreschi. Quasi fossero stati sputati fuori da un ospedale. Neon, scaffali bianchi, vetro: l’arredo replica se stesso con inesorabile precisione, diffondendosi identico in ogni regione, città, frazione d’Italia. Non un granello di polvere. E tante uniformi, cartellini, gadget. La sezione dei consigliati ti colpisce in faccia come un pugno, a suon di fascette e classifiche di vendita. Sono luoghi talmente ossessionati dalle classifiche di vendita che spesso non c’è differenza fra le loro vetrine e quelle dei concorrenti. Non ci si perde in queste librerie. Non s’incontrano sorprese. Si va, si compra, si esce.

La standardizzazione delle librerie è davvero un segno dei nostri tempi: la cultura libraria si adegua al mercato e diventa bene materiale. Compriamo un libro come si compra un pezzo di carne. Proporrei, per queste librerie, di abbandonare ogni tentativo di avvicinarsi al pubblico, di creare un’intimità: lo spazio non lo consente. Consiglierei piuttosto la vendita al chilo: sarebbe un successo.

Scattisparsi

Quando abbiamo smesso, noi bibliofili, di pretendere la polvere e il disordine? Le librerie sono gli unici negozi in cui l’entropia ha un suo preciso ruolo conoscitivo. Non trovo spunti utili fra i consigliati, è matematicamente impossibile: ma posso trovare tesori fra libri ammassati gli uni sugli altri, come si trova un quadrifoglio di un prato. E non sto necessariamente parlando di antiquari.

Ricordo ancora con un brivido di piacere qualche ritrovamento, che si vive con la meraviglia di un’epifania improvvisa. A Venezia, nella libreria Acqua Alta, dopo un’ora e mezzo di caccia, mi capita sotto mano la prima edizione di Horcynus Orca, di Stefano D’Arrigo. O a Siviglia, quando sono stato attratto da un fumetto, Mi vida en Cuba di Juan Padròn, e adesso conosco un nuovo autore – e, no, non era fra i consigliati. Oppure a Scattisparsi, in Via Sant’Agata a Ravenna. A metà del solito periplo di quaranta minuti fra gli scaffali, eccolo: L’italiano di Giulio Bollati, prima edizione, 1983. Introvabile.

Ecco, il mio consiglio natalizio è questo: andate a perdere tempo a Scattisparsi. Spulciate fra i libri, lasciatevi guidare dall’intuito, dal naso, dai ricordi di vecchie letture. E se anche non trovaste niente, almeno avrete passato un’oretta al caldo, ascoltando buona musica. Che è già tanto, se penso a Zara.

Da dove nasce questo luogo di delizie, che ha aperto a Ravenna più di cinque anni fa con la discrezione tipica di tutte le cose belle? Ne ho parlato con Fabrizio Bergonzoni, il proprietario. Un libraio che somiglia a un librario, quasi avesse passato un provino per interpretare quel ruolo. La barba lunga, il tono pacato, quella prodigiosa sgangheratezza estetica che è come un marchio dop per una forma di parmigiano. (Ah, a scanso di equivoci, care malelingue: questo pezzo non è sponsorizzato. Anzi, sono quasi dispiaciuto di averlo scritto. Meno clienti per Fabrizio, significa più libri per me).

Bollati

Scattisparsi

Fabrizio, sei cresciuto a Bologna, giusto? Cosa ti ha portato qui?

«Sono nato a Crevalcore, ma Bologna è sempre stata la mia città. A Ravenna ho messo su famiglia. E mi trovo molto bene».

Qual è stato il tuo percorso? Dove hai studiato?

«In realtà non ho mai studiato: non ne avevo molta voglia, allora. Sono arrivato alla terza media, e a distanza di anni me ne sono pentito amaramente. I miei genitori avevano una maglieria a Crevalcore, erano gli anni del boom. Mi hanno detto: non vuoi studiare, bene. Ma c’è da lavorare».

Da dove nasce la passione per i libri?

«Mi sono sempre piaciuti. Il libro è sempre stato un oggetto molto affascinante per me. A casa mia non ce n’erano, i soldi dovevano essere spesi in altri modi. Ma da piccolo, alle elementari, prima di tornare a casa andavo a studiare in una biblioteca. Crevalcore era un paesino, ma per fortuna c’era una biblioteca ben fornita. Passavo tutti i pomeriggi lì, a fare i compiti, in mezzo ai libri. Li prendevo e li leggevo, per quello che riuscivo a capire allora. La mia passione per i libri è nata lì. Ce l’avevo già dentro, dovevo solo tirarla fuori».

Avevi già un negozio prima di Scattisparsi?

«Avevo un’attività di libreria e materiali cartacei da collezionismo. Facevo i mercati in giro per le città. In piazza Santo Stefano a Bologna, a Modena, a Firenze, a Milano: ho girato tutta Italia per tanti, tanti anni, ogni fine settimana. Era molto bello. Poi, quando mi sono risposato, mi hanno costretto a fermarmi, a rinunciare al mio nomadismo. E direi che ho fatto bene. Così è nata Scattisparsi. Prima vendevamo solo online; poi abbiamo notato che la gente aveva piacere di entrare e visitare il nostro spazio. Abbiamo deciso di rallentare con l’online per aprire al pubblico, e ne siamo ben felici. Abbiamo fatto il contrario di quello che normalmente fanno tutti gli altri! Così si è allargato anche lo spazio espositivo, che negli ultimi anni è raddoppiato. Una cosa completamente fuori dalla normalità».

È difficile la vita di un librario indipendente, oggi?

«Devo dire che, nonostante il Covid, stiamo lavorando bene. Vedi, noi lavoriamo coi libri usati. È un ramo completamente diverso dagli altri. È molto più affascinante, almeno per me. E molto più difficoltoso. Le librerie normali, una volta esaurito un libro, possono chiedere il rifornimento dai distributori; se non lo vendono, hanno sempre il reso. Chi invece lavora coi libri usati, venduto un libro se lo deve andare a cercare di nuovo, nel caso lo voglia ancora. È una ricerca continua».

Come si scelgono i libri?

«Quasi sempre vengo chiamato direttamente nelle case private. Col passaparola è diventato piuttosto frequente. La scelta viene fatta in base all’argomento e in base a quello che i clienti ti chiedono. Fatta la scelta, i libri vengono selezionati a seconda della qualità di conservazione. Quelli che non vanno bene vengono purtroppo cestinati. Viene scelto il libro usato tenuto bene. Difficilmente da noi si trovano libri segnati o evidenziati, non li prendiamo per scelta».

Cosa leggi?

«Mi piace tutto. Passo dalla cosa più semplice alla più complicata, dalla narrativa alla saggistica, come dovrebbe essere. Non escludo nessuno».

Come ha risposto Ravenna all’apertura della libreria?

«Bene: infatti sono ancora qua! E per fortuna, oltre ai ravennati, vengono anche da fuori. Da Cesena, da Forlì, da Bologna, da Imola. Sono diventati appuntamenti fissi settimanali: appassionati che dedicano qualche ora del loro tempo per stare qua, parlare e scegliere dei libri».

Quali sono gli esemplari più vecchi che hai?

«Ho avuto anche libri del 1600 e del 1700. Ma non capitano tanto spesso, quelli. Non siamo specializzati in libri antichi; per quelli, a Ravenna, c’è l’ottima libreria Tonini. Ognuno fa il suo. Noi partiamo di solito dalla fine dell’Ottocento a salire. E poi abbiamo una buona selezione di libri sulla Romagna, molto apprezzata».

Avete collaborato con realtà culturali cittadine?

«Sì. Qualcuno ci è venuto a chiedere una mano. Alcune volte sono nostri clienti, o compagnie teatrali. Parlando scatta la scintilla e nasce la collaborazione. Entrare a far parte del tessuto culturale di una città è indispensabile per una libreria indipendente».

Che rapporti hai con gli altri librai di Ravenna?

«Ottimi. Collaboriamo spesso, almeno con i piccoli: Longo, Modernissima, Liberamente, Momo. Le grosse catene neanche sanno chi sono! Con la Feltrinelli c’è un buon rapporto, però: a volte capita che mandino i loro clienti da me. E viceversa».

Come giudichi le librerie e l’editoria contemporanea?

«Non mi piacciono le librerie monomarca. Che tu sia a Bologna, a Ravenna, a Imola, le vetrine sono sempre uguali. Le guardi e potresti essere dovunque. Vai dentro, è tutto schematizzato, tutto preciso. Sono dei supermercati. Sull’editoria, che vuoi che ti dica? Da libraio posso dire che le case editrici, oggi, hanno bisogno di buttare fuori continuamente dei nuovi libri. E ogni libro è sempre più bello di quello appena pubblicato, sempre strepitoso. Ma siccome gli editori hanno bisogno di incassare e far lavorare le loro librerie, va bene pubblicare qualsiasi autore. Così tanti libri nuovi fanno decisamente schifo. Alcuni libri diventano bestseller ancor prima uscire. “Ha venduto milioni di copie”, dice la fascetta, ma deve ancora uscire! Facci caso. Ci caschi, compri il libro, immancabilmente lo lasci sul comodino, prendi il capolavoro uscito subito dopo e così via, fino a che sul tuo comodino non c’è una pila di libri letti a metà. È una catena di montaggio».

Che libro consigli per questo Natale?

«Consiglio un libro vecchio. Cos’altro?»

Scattisparsi

Nome della Rosa

Il labirinto dei libri dal film “Il nome della rosa”

Più informazioni su