MA ALICE NON LO SA / Marco Parollo dal suono al “Riverbero” fotografico, vent’anni sul set di Ravenna tra musica, teatro, danza e il book del Sindaco

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“L’unica persona che sei destinato a diventare è la persona che decidi di essere” (cit. Ralph Waldo Emerson). “La fotografia può fissare l’eternità in un attimo” (Henri Cartier- Bresson).

Marco Parollo è nato a Ravenna 44 anni fa e prima di fare il fotografo ha svolto per molti anni l’attività di tecnico del suono, ha collaborato con esponenti di spicco della scena cinematografica, musicale e teatrale del nostro paese. Nel film The Big Kahuna qualcuno dice che “le persone più importanti che conosco a 22 anni non sapevano che fare della loro vita. I quarantenni più interessanti che conosco ancora non lo sanno.” Marco sapeva e sa cosa vuole, ma la frase del film gli si adatta perché non ha avuto timori o remore nel lanciarsi nel vuoto e reinventarsi più volte, inseguendo le sue passioni e i suoi sogni che sono mutati nel tempo, mantenendo sempre una costante di fondo: l’amore per l’arte, in tutte le sue forme.

Mentre lo intervisto nel suo studio ho l’opportunità di vederlo all’opera, dato che mi scatta alcune foto. Sono quindi entrata ufficialmente nel gotha di chi è stato immortalato da Marco Parollo. E sapete quanto io tenga a certe cose! Il risultato lo vedete qui sotto con i vostri occhi. Ma ecco la nostra chiacchierata.

Alice Lucchi

L’INTERVISTA

Marco ci racconti i suoi esordi nel mondo dello spettacolo.

“Negli anni ’90 ho vissuto in pieno il clima musicale della città. Non suonavo ma sono sempre stato un grande appassionato di musica. Dopo il liceo mi sono iscritto a ingegneria elettronica, mi sono ritirato quando il corso di acustica, che era la cosa che mi interessava di più, è stato sospeso dal programma di studi. Poi mi sono iscritto a un corso di tecnico del suono a Bologna, mentre a Milano ho fatto la scuola internazionale per fonici, dove ho preso il diploma di tecnico del suono. A Londra ho proseguito gli studi dove ho fatto la tesi sul suono cinematografico. Andavo per le strade a registrare i suoni, che poi venivano usati nei film come sottofondo dei dialoghi. Nel 2001-2002 ero a Bologna che in quegli anni era la capitale del cinema indipendente italiano, era appena uscito “Paz” (il film su Andrea Pazienza, ndr) per capirci. Si cominciava a girare in digitale, del gruppo che frequentavo faceva parte il direttore della fotografia Michele D’Attanasio che ha vinto il David di Donatello con “Veloce come il vento”, e poi ha fatto anche “Lo chiamavano Jeeg Robot” e “Freaks Out”. Facevamo due tre cortometraggi al mese. Io mi occupavo della presa diretta, cioè registravo dialoghi, suoni e rumori che venivano utilizzati nei film. Facemmo un corto che vinse il David di Donatello assegnato al regista Pippo Mezzapesa. Insomma, dai 20 ai 40 anni ho girato per l’Italia facendo il tecnico del suono.”

E poi come è arrivato alla fotografia?

“Sui 30 anni mentre facevo il tecnico ho iniziato a portarmi dietro la macchina fotografica, per abbinare le registrazioni dei suoni a delle immagini. Mentre lavoravo sui set cinematografici durante le pause passavo il tempo facendo foto, a volte le mie foto sono state usate per la locandina dei film che giravamo. Quella è stata la mia “iniziazione” come fotografo. Poi mi sono avvicinato al mondo del teatro, nel 2008 i Fanny & Alexander hanno preso in gestione l’Almagià e ho iniziato a collaborare con loro, sono entrato nella loro compagnia teatrale: è stata una bellissima esperienza.”

Ha lavorato anche con Eugenio Sideri se non sbaglio.

“Sì, lui lo conoscevo perché ero fidanzato con sua sorella, da ragazzino lui mi portava in giro a comprare dischi, mi regalò la sua chitarra elettrica, nacque una grande amicizia. Ho iniziato a collaborare artisticamente con lui come tecnico del suono poi a occuparmi della parte fotografica delle sue produzioni teatrali, tutt’ora sono il suo fotografo ufficiale. Con lui seguo anche il progetto nelle carceri. Ma dal 2017 non mi sono più occupato di tecnica del suono, anche in seguito a un infortunio a un tendine del braccio. Uno dei miei ultimi lavori in quel settore è stata la registrazione del suono dei motori. Poi rischiai un incidente a bordo di una Maserati e da quel momento abbandonai quel percorso.”

Marco Parollo

Insomma dalla musica, al cinema, al teatro è arrivato alla fotografia.

“Sì, prima lavoravo nello spettacolo ma mi occupavo della creatività degli altri, invece nella fotografia ho potuto e posso esprimere la mia creatività.”

Le piace più fotografare persone, paesaggi o oggetti?

“Fotografare le persone è stimolante perché si tratta di riuscire a “catturare la loro anima” in un fermo immagine. La magia sta nel fatto che guardando la foto che ho fatto, la persona ci si riconosca, ci trovi in qualche modo se stessa. Farei fatica a fotografare qualcosa che non conosco, o che non mi piace. Anche se a volte capita anche di doverlo fare.”

Uno dei suoi ultimi lavori è stato il progetto “Segui tua stella” dell’artista Adelaide Cioni, al Mar. Ce ne parli un po’.

“Il progetto è stato organizzato da Francesca Masi dell’Ufficio Cultura del Comune di Ravenna in collaborazione con il Mar. L’opera dell’artista si prestava ad essere un set fotografico. Il segreto è riuscire a eliminare il disagio o l’imbarazzo delle persone, riuscire a instaurare un rapporto di fiducia e creare un’atmosfera di naturalezza. Il progetto del Mar in realtà è stato molto simile a uno che avevo già curato per il Circolo Arci Kinotto di Mezzano, in cui nello stesso set ho fotografato persone diverse.”

Quindi fotografare le persone è il filone che preferisce, ho capito bene?

“Sì, fotografo in particolare artisti, musicisti, attori, persone del mondo dello spettacolo, insomma, molti dei quali sono miei amici che conosco da vent’anni e con cui ho collaborato in progetti passati. Negli ultimi anni però mi sono avvicinato anche alla fotografia che riguarda l’arte: quadri, mosaici, installazioni. Per esempio ho curato l’archivio di un artista ravennate, di cui ho fotografato circa 700 quadri. Tra gli altri collaboro abitualmente con Alessandra Carini, Marco Miccoli, Giovanni Gardini.”

Collabora anche con il Comune di Ravenna?

“Sì, ho curato il video per le celebrazioni dantesche, quello è stato il primo incarico che mi hanno affidato. Questo video l’ho realizzato con la casa di produzione Les Bompart di mia sorella Chiara e suo marito Paul Bompart.”

Ricordo le sue foto anche quando ci fu la manifestazione delle Sardine in Darsena…

“Le feci dall’alto, dalla terrazza di un grattacielo, che mi aveva messo a disposizione un’amica.”

Marco Parollo

Si è mai interessato di politica, più o meno attivamente?

“Io sono il fotografo ufficiale del Sindaco Michele de Pascale, anche se alle elezioni precedenti votai la Sutter (sorride, ndr): sono sempre stato di sinistra.”

Come iniziò la collaborazione col Sindaco?

“La prima volta che lo incontrai fu durante uno spettacolo di Eugenio Sideri, lui era seduto tra il pubblico senza fascia da sindaco, io non l’avevo neanche notato… Alla fine dello spettacolo salì sul palco e fece un discorso che apprezzai molto, cantò insieme al pubblico Bella Ciao, e gli feci qualche foto. Lui poi le vide e le gradì molto. Stava cercando un fotografo che si occupasse del suo book ufficiale, e incaricò me.”

È fotogenico il Sindaco? Ci dica.

“Non sta mai fermo (ride, ndr)! Le foto per la campagna elettorale del suo secondo mandato “a Ravenna si può” le abbiamo fatte qui nel mio studio.”

Altri personaggi della politica e non che sono state sue “prede”?

“La Federica Francesca Vicari del Cisim: mi occupai di farle le foto per la campagna elettorale quando si candidò alle regionali. Tra l’altro il Cisim è un luogo che mi è molto caro. Ho fatto anche corsi estivi per ragazzini ed è stata una esperienza molto formativa. Francesca e suo fratello Moder sono miei amici da sempre, e sono per me un collegamento con le generazioni più giovani.”

Marco Parollo

Quali sono i suoi progetti futuri?

“Il 21 maggio parteciperò alla rassegna organizzata da Ivano Mazzani presso la libreria Scattisparsi, in cui esporrò il progetto artistico fotografico in cui sono attualmente impegnato.”

Di cosa si tratta?

“Tutto è partito da una suggestione nata quando mi trovai a fotografare uno spettacolo di danza, che era uno dei pochi ambiti artistici a cui non mi ero mai approcciato. Mi affascinò il concetto dello spazio che viene occupato dai ballerini mentre danzano. La danza vista come occupazione di uno spazio, fare sparire il soggetto e lasciare solo la rappresentazione, il segno del movimento creato dal danzatore mentre balla. A livello fisico un suono viene prodotto da un corpo che vibra, una corda di chitarra, una corda vocale, la pelle di un tamburo. Il suono si propaga nello spazio, rimbalza sulle pareti, creando un riverbero. Questa vibrazione dell’aria è quella che percepisce il nostro apparato uditivo. La ballerina è il corpo vibrante, la luce che rimbalza su di lei mentre si muove “disegna” nella pellicola fotografica la sua occupazione dello spazio. Io mi concentro sul concetto di come si propaga la luce nello spazio isolando il movimento dal soggetto che si muove.”

E che emozione suscita questo procedimento sperimentale?

“È pura bellezza, qualcosa di esteticamente appagante.”

Qual è il nome di questo suo studio sperimentale?

“Riverbero e all’incontro di Scattisparsi parlerò proprio di questo.”

Ok non spoileriamo oltre, chi vuole saperne di più potrà venire all’evento del 21 maggio… Altri progetti in vista?

“Sono impegnato nel fotografare i gessi del Mar, avendo ricevuto l’autorizzazione da parte di Giorgia Salerno e di Paola Babini dell’Accademia di Belle Arti. Cerco di sviluppare l’idea di tirare fuori l’espressività di queste sculture attraverso le luci. Poi sto portando avanti un ulteriore progetto che si chiama “Memorie magnetiche”: insieme a Matteo Bertaccini e Daniele Pezzi stiamo costruendo un archivio per fare poi un documentario su tutta la vita culturale, musicale, artistica di Ravenna dalla fine degli anni ’70 alla fine degli anni ’90. Abbiamo già intervistato circa 150 persone. Abbiamo raccolto testimonianze partendo dal Festival della Gioventù del 1976 all’ippodromo, un evento che ha segnato profondamente la storia della nostra città. Si va da Franco Masotti, ai tempi in cui faceva il tastierista, a Chris Angiolini quando suonava nel suo gruppo hardcore e tanti altri…”

Marco Parollo

Mi tolga una curiosità: quando un fotografo si trova di fronte a qualcosa o qualcuno che non gli piace, riesce a separare il proprio pregiudizio e riesce a fare comunque belle foto?

“Sì, la stessa cosa mi accadeva quando facevo il fonico e dovevo registrare un brano musicale che non mi piaceva. Cercavo di mettermi nei panni di qualcuno a cui quella musica piacesse, mettendo in atto una specie di spersonalizzazione”.

Parlando di massimi sistemi, lei appartiene alla corrente di quelli che pensano che la bellezza sia qualcosa di oggettivo o di soggettivo?

La bellezza è prima di tutto negli occhi di chi guarda.”

È più facile fotografare una persona bella o una meno bella? Qualcuno dice che le donne belle sono per gli uomini di poca fantasia… vale lo stesso concetto per la fotografia?

“Quando facevo le foto nel backstage dei set cinematografici, non si distinguevano gli attori dagli elettricisti.”

Quindi imbruttiva gli attori o abbelliva gli elettricisti?

“Chiunque si sente a suo agio con se stesso, emana bellezza, a prescindere dal ruolo che svolge.”

C’è mai stato qualcuno che le ha detto “Marco le foto che mi hai fatto mi non piacciono, non mi ci ritrovo”?

“Se qualcuno l’ha pensato non me l’ha detto (sorride, ndr)”.

E il complimento più bello che le è stato fatto da qualcuno che ha fotografato?

“La cosa più bella che si possa dire a un fotografo è che il soggetto degli scatti si rivede in essi. Per fotografare una persona bisogna in primo luogo sapere cosa si prova a essere fotografati. Spesso i fotografi sono molto restii a farsi fotografare, invece una cosa che io faccio spesso quando ho di fronte qualcuno particolarmente in imbarazzo che non riesce a sciogliersi è dirgli “ facciamo cambio, vieni tu dietro l’obiettivo e fotografami tu”, e di solito funziona…”

C’è una persona famosa del presente o del passato che vorrebbe o avrebbe voluto fotografare?

“La persona che avrei voluto fotografare è Syd Barrett dei primi Pink Floyd. Sono cresciuto con le foto che gli ha fatto Mick Rock per il suo primo disco appese alle pareti di camera mia. Di Mick Rock ho sempre ammirato le foto della scena musicale degli anni ’70: si vede benissimo come le rockstar subissero la sua personalità, abbassando le difese, venendo spontanei nelle foto.”

Sua moglie e suo figlio li fotografa?

“Poco.”

Come mai?

“Forse perché per far superare il disagio e l’imbarazzo del soggetto delle foto ci vuole un po’ di brutalità, bisogna vincere la ritrosia, forzare un po’ la mano… a volte è più facile fare questo con una persona che non appartiene alla propria sfera di affetti. Mia moglie solo una volta è venuta qui in studio a fare una sessione fotografica. Mio figlio invece lo fotografo di più. Gli ho già regalato quella che era stata la mia prima macchina fotografica, penso di avergli trasmesso un po’ la mia passione.”

Marco Parollo

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