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RAVENNA FERMO IMMAGINE / 17. La luce dei mosaici ispira Dante e quella del Poeta si riflette sul nobile Guido Novello da Polenta, signore di Ravenna

Una antologia pittorica del ‘300 ravennate potrebbe iniziare al tempo di Lamberto da Polenta, podestà dal 1298 fino al 1316 e di suo nipote Guido Novello, che gli succedette fino al 1322. Sotto il loro governo Ravenna conobbe la più intensa fioritura artistica del suo medioevo: vennero allora affrescate Santa Chiara, Sant’Agata, San Francesco, San Domenico, San Giovanni Evangelista dagli artisti riminesi della scuola di Giotto. Dai medesimi artisti furono dipinti anche la pieve di San Pietro in Sylvis a Bagnacavallo (per intercessione della contessa Caterina Malvicini, moglie di Guido Novello) ed il maestoso refettorio dell’abbazia di Pomposa.

Di sicuro sappiamo che nel 1314 era stata portata a termine la terza fase dei lavori alla chiesa di Santa Maria in Porto Fuori sotto il recente priorato di Guglielmo da Polenta, che successivamente commissionò anche l’intero ciclo di affreschi. A completare quella straordinaria fioritura artistica provvide altresì Rinaldo da Concorezzo, arcivescovo di Ravenna dal 1303 al 1321. Rinaldo fu una delle personalità ecclesiastiche eminenti del tempo e non solamente per la sua notevole cultura giuridica. Durante la sua permanenza nella Cattedra ravennate fu inquisitore dei Templari e promotore di alcuni concili a sostegno della riforma dei costumi ecclesiastici. Fece lavori in cattedrale costruendo o riadattando una navata della basilica ursiana.

Artisti riminesi della scuola di Giotto

Affreschi degli artisti riminesi della scuola di Giotto 

Guido Novello

Il giudizio degli storici su Guido Novello si è venuto precisando nel tempo e in modo non propriamente benevolo: se non avesse concesso ospitalità a Dante il suo nome, al pari di tanti altri, appartenenti alle famiglie feudali o signorili romagnole, sarebbe stato ben presto dimenticato o ignorato. E a proposito dell’ospitalità concessa a Dante e alle tre questioni così a lungo dibattute e cioè: quando venne Dante a Ravenna, perché venne e quale ospitalità gli concesse Guido, sia consentito in questo fermo immagine esporre in maniera sintetica le tesi che a tutt’oggi appaiono le più corrette e convincenti.

La presenza di Dante a Ravenna va senz’altro collegata al consolidarsi della signoria dei Da Polenta e in particolare a Guido Novello succeduto nel 1316 a Lamberto nella carica di podestà. Con lui il casato polentano raggiunge le sue massime fortune e assume più nitidi i connotati di una corte signorile. Se fino ad allora i Da Polenta avevano praticato esclusivamente le arti del potere, il nuovo signore, dotto e poeta, ravviva e arricchisce l’ambiente di corte facendosi promotore di cultura, incoraggiando la poesia, le arti e le consuetudini cortesi e cavalleresche. Ravenna accoglie allora letterati e artisti forestieri e Dante, esule a Verona, accetta l’invito di ospitalità rivoltogli da Guido Novello “per continuare e porre fine al Paradiso”.

Quando venne Dante a Ravenna? A Corrado Ricci spetta il merito di aver stabilito in maniera inconfutabile che Dante venne a Ravenna nel periodo della podesteria di Guido Novello, probabilmente nel 1317. La città che lo ospita, il paesaggio e la sua storia trovano più volte spazio nella Commedia. In particolare il Paradiso celebra due insigni ravennati, Romualdo e Pier Damiani e rifulge di luci e ori certamente ispirati dai mosaici delle antiche basiliche.

Per quale ragione Dante venne a Ravenna? Augusto Torre ha proposto nel 1958 una tesi che è venuta rafforzandosi tra gli studiosi di Dante, alla luce del rapporto dell’Alighieri con il Signore di Verona; e cioè che fosse stato inviato a Ravenna da Cangrande della Scala (a motivo dell’interesse di Verona al sale di Cervia) per rafforzare e incoraggiare la resistenza di Guido Novello e di Ravenna contro le pretese dei Veneziani.

Quale accoglienza trovò Dante a Ravenna? Boccaccio la racconta come di uno spontaneo invito di Guido che indovina il bisogno di Dante e la sua pronta accettazione, ossia il concorso di due voleri ad un medesimo fine. Probabilmente un po’ troppo abbellita la sua versione, ma senz’altro vera nella sostanza: una accoglienza molto favorevole fatta al Poeta. L’ammirazione di Guido per Dante si manifestò anche in occasione dei funerali narrati da Boccaccio: “Fece il magnanimo Cavaliere il morto corpo di Dante di ornamenti poetici sopra un funebre letto adornare; e quello fatto portare sopra gli omeri de’ suoi cittadini più solenni, insino al luogo de’ Frati Minori in Ravenna, con quell’onore che a sì fatto corpo degno estimava, infino quivi quasi con pubblico canto seguitolo, in un’arca lapidea, nella quale ancora giace, il fece porre. E tornato alla casa nella quale Dante era prima abitato, secondo il ravignano costume esso medesimo, sì a commendazione dell’alta scienza e della virtù del defunto. E sì a consolazione de’ suoi amici, i quali egli in amarissima vita lasciati, fece un ornato e lungo sermone…”.

Si può pensare che il Boccaccio abbia ancora una volta abbellito il racconto, ma la sostanza non può non corrispondere poiché la notizia gli veniva da un testimone oculare, Pietro Giardini che, pure esagerando, non poteva inventare circostanze tanto particolareggiate.

Dante e Guido Novello

Giovanni Mochi, Dante Alighieri presenta Giotto a Guido Novello da Polenta

DANTE RESUSCITATO DA PIETRO BEMBO

Silvio Bernicoli in “Il Giornale dantesco” XXX / I 1921 scrive: “Dante, morto Guido Novello, conosciuto ed esaltato più fuori che qui, non sarà rievocato in alcun altro posto con epigrafi ed effigi; sarà lasciato, o forse tollerato per un certo senso di pietà che lo considerava uguale agli altri sepolti, in un luogo modesto sulla proprietà dei Frati minori, confuso per tutto il secolo XIV con le molte altre arche marmoree che stavano ai lati della porta del Convento francescano e nel secolo XV il suo sepolcro si troverà racchiuso insieme a molti altri in un claustrello e vi starà sino al 1483. In quest’anno la Repubblica di Venezia ed evidentemente per essa il Bembo, avrà ridonato alla luce Colui che il papato aveva voluto dannare ad una perpetua umiliazione e all’oblio”.

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