ROMAGNA E ROMAGNOLI NEL MONDO / 3 / “Mission” nel West e nel grande Nord: Pasquale Tosi da Santarcangelo all’Alaska

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Tra i primi italiani sbarcati in Nord America nei secoli scorsi, insieme ad avventurieri, esuli politici, artisti, affaristi e altro, vi furono anche molti religiosi, partiti con l’intento di evangelizzare i popoli nativi; “pionieri” atipici che finirono per svolgere un ruolo importante nell’esplorazione dei territori dello sconfinato Nuovo Mondo e nell’incontro con i suoi più antichi abitatori.

Lo studioso Giovanni Schiavo, nel suo prezioso Four Centuries of Italian American History, ne elenca diversi: dal gesuita padre Linares, il cui vero cognome era forse Mengozzi, ucciso dagli indiani nel febbraio del 1571 nella zona della attuale città di Washington, al romano Francesco Giuseppe Bressani, missionario in Canada nel Seicento, ai tempi della prima colonizzazione francese, che fu catturato e torturato dagli Irochesi mentre cercava di raggiungere il popolo degli Uroni. Come informa il saggista Paolo Poponessi, che ha dedicato alcuni volumi alla storia degli italiani in America, l’uomo sopravvisse perché fu acquistato come schiavo da una vecchia indiana, che poi lo rivendette ad alcuni marinai olandesi – i quali lo liberarono – a Fort Albany.

Nell’Ottocento, poi, diversi altri religiosi italiani fecero parte dell’epopea missionaria dei Gesuiti (iniziata intorno al 1840 grazie soprattutto al sacerdote belga Pierre Jean De Smet) nelle terre americane del Nord-Ovest e delle Montagne Rocciose, nei luoghi dunque più selvaggi della “frontiera”. Si possono menzionare i romani Gregorio Mengarini e Giuseppe Nobili, il pugliese Giuseppe Accolti, il laziale Giuseppe Rosati, il ferrarese Antonio Ravalli, ecc. Le Missioni si avvalsero, nell’arco di mezzo secolo, di oltre 150 religiosi provenienti dal nostro Paese, e va notato che uno dei centri di formazione di queste “truppe missionarie” può essere a ragione individuato nel seminario di Bertinoro.

Eraldo Baldini Padre De Smet e i nativi americani

Padre De Smet con un gruppo di nativi americani

Qui studiò e insegnò fra gli altri padre Giuseppe Giorda, nato nel Torinese nel 1833. Dopo essere stato in Corsica, Giorda fu appunto dal 1852 a Bertinoro, al pari di altri Gesuiti che, come lui, ebbero poi un ruolo importate nelle spedizioni evangelizzatrici nelle Montagne Rocciose e altrove: pensiamo solo ai fratelli Giuseppe e Pietro Bandini, di cui diremo in altra occasione, e a Pasquale Tosi, il maggiore protagonista di questa puntata della nostra rubrica. Giorda lasciò la Romagna per l’America nel 1858; laggiù arrivò a coprire per due volte la carica di superiore della Missione, guadagnandosi la stima sia dei bianchi sia dei nativi, che lo chiamavano Mi l’Kokan, “Testa tonda”. Parlava le lingue dei Piedi Neri, dei Nasi Forati e di altre tribù indiane del Nord-Ovest. Morì nell’Idaho nel 1882.

A Bertinoro, lo abbiamo detto, si formò anche Pasquale Tosi, nativo di San Vito, frazione di Santarcangelo di Romagna. Dopo essere stato parroco (proprio a San Vito) per diciotto mesi e avere condotto ulteriori studi a Monaco di Baviera (parlava correttamente tedesco, francese e inglese), nel settembre del 1865 partì per l’America, rimanendo per un po’ a New York e raggiungendo poi una Missione dei Gesuiti nel Nord-Ovest. Fu per una ventina d’anni a St. Paul di Colville, nel Montana, e in altre località delle Montagne Rocciose, dove conobbe bene gli “indiani”, ne apprese gli idiomi e prese coscienza delle loro difficili condizioni di vita e delle cattive abitudini che assumevano dai bianchi (scrisse in una lettera: «Se i selvaggi non fossero avvelenati dai liquori che i bianchi vendono o danno loro, sarebbero molto migliori»). Nel 1886, mentre la presenza gesuitica europea nel West andava declinando, partì per una ancor più selvaggia “frontiera”: quella dell’Alaska, il nuovo, sconfinato e inospitale territorio che gli americani, nel 1867, avevano acquistato dalla Russia.

Eraldo Baldini Pasquale Tosi

Scrive Paolo Poponessi di questa straordinaria esperienza, durata dodici anni: «In una natura selvaggia e in un clima terribile, padre Tosi lavorò negli anni seguenti in questo territorio sterminato divenuto la nuova meta di missione dei Gesuiti, percorrendo migliaia di chilometri a piedi o in slitta, fondando undici missioni che fornivano assistenza religiosa e aiuti ai nativi per i quali furono costruite scuole e introdotte tecniche di coltivazioni agricole. Pasquale Tosi si dedicò anche allo studio della lingua delle tribù Nulato e Malamute scrivendone la grammatica e i dizionari; fu sostanzialmente anche un esploratore e le mappe e le carte geografiche da lui tracciate furono consultate pure dal generale Nobile per le sue imprese nel grande Nord, mentre le sue relazioni di viaggio furono utili anche a paleontologi e naturalisti […]. Per motivi di salute Tosi lasciò questo prestigioso incarico nel 1897, spegnendosi tra la stima e la considerazione generale nel 1898 a Juneau, capitale dell’Alaska, dove fu sepolto».

Nel 1892-93 Tosi era rientrato temporaneamente in Europa, e fu a Roma, dove ebbe un incontro con Papa Leone XIII che scherzosamente gli propose di fare “il Papa dell’Alaska”. Non si giunse a tanto, ma il religioso romagnolo fu comunque nominato, dell’Alaska, primo Prefetto Apostolico.

Pasquale Tosi

Pasquale Tosi

Tornò dunque nelle terre selvagge dell’estremo Nord americano, ove compì un viaggio di esplorazione fino allo Stretto di Behring, dove nessun europeo era mai stato. In quel periodo e precisamente nel 1895, per inciso, in Alaska giungeva un altro nostro corregionale, Felice Pedroni, che aveva “americanizzato” il proprio nome in Felix Pedro. Originario di Fanano (Modena) aveva fatto, insieme al fratello, il cercatore d’oro in Canada prima di spostarsi appunto nel bacino dello Yukon dove, nel 1902, trovò un ricchissimo filone d’oro nel fondo di un torrente che oggi, in suo onore, si chiama ancora Pedro Creek.

Ma torniamo a Pasquale Tosi. La durezza e le fatiche dell’esistenza che conduceva lo fecero ammalare di cuore, così, rinunciando alle spedizioni, nel 1897 venne trasferito nella sede della Prefettura di Juneau, dove si spense nel gennaio dell’anno seguente, all’età di 63 anni. Il giornale della zona, l’Alaskan News, dedicò molto spazio alla sua morte e scrisse: «Nessuno ha tanto viaggiato l’Alaska come il reverendo padre Pasquale Tosi […]. Egli camminò migliaia e migliaia di miglia sopra un territorio mai calpestato da essere umano».

Alaska

I resoconti e le lettere scritti da Tosi dipingono con dovizia di particolari le difficili condizioni di vita in un luogo in cui d’inverno non era raro che il termometro scendesse di cinquanta gradi sotto lo zero, praticamente privo di strade e di ricoveri degni di questo nome, attraversato da grandi corsi d’acqua che per lunghi mesi gelavano completamente; un territorio in larga parte inesplorato e completamente selvaggio, abitato da orsi e da altri animali, in cui il religioso si trovò più volte in pericolo estremo e in gravi difficoltà, superate grazie a una fibra robusta e a un carattere forte, fino a un inevitabile logoramento del fisico, ma non della mente e dello spirito.

Pasquale Tosi

PER APPROFONDIRE

Giovanni Schiavo, Four Centuries of Italian American History, Vigo Press, New York 1952.

Paolo Poponessi, Mission. I Gesuiti tra gli indiani del West, Il Cerchio, Rimini 2010.

C. Testore – G. Montali – F. Algardi, Pasquale Tosi: un romagnolo sanvitese (1835-1898) missionario ed esploratore dalla Montagne Rocciose all’Alaska, a cura di G. Celli e P.G. Bertani, Il Ponte Vecchio, Cesena 2011.

Michele Tombesi, Padre Pasquale Tosi 1835-1898: primo Gesuita romagnolo ad evangelizzare l’Alaska, Independently Published, 2020.

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Commenti

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  1. Scritto da Albachiara

    La rubrica di Baldini è STREPITOSA!!!!

  2. Scritto da Pietro

    E’ sempre un piacere leggere gli approfondimenti di Eraldo Baldini, la storia cosi spiegata si segue volentieri. Bravo come sempre .