ROMAGNA E ROMAGNOLI NEL MONDO / 26 / Dai moti carbonari all’esilio in Brasile, decine di ribelli salpano sulla nave dei dannati (1)
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Nel 1831, dopo la fallita rivolta “carbonara” organizzata da Ciro Menotti a Modena, insorsero Bologna, poi Forlì, e l’incendio della ribellione si estese subito a parte dell’Emilia orientale e a gran parte della Romagna, che innalzò i vessilli tricolori chiedendo di sottrarsi al dominio pontificio e dichiarando di costituirsi quale Stato delle Province Unite con capitale Bologna. Alla guida di un piccolo esercito di bellicosi volontari, il generale faentino Giuseppe Sercognani intraprendeva addirittura una spedizione verso Roma. Papa Gregorio XVI decise di soffocare la rivolta sul nascere e chiese l’aiuto dei soldati austriaci che, fin dal tempo del Congresso di Vienna, mantenevano presidi militari a Ferrara e a Comacchio. Nel giro di poche settimane la repressione ebbe la meglio, e il 26 marzo il governo insurrezionale dovette avviare le trattative per la resa, anche se resistenze e scontri nei nostri territori si protrassero almeno fino ai primi mesi del 1832 (in gennaio la repressione produsse violenti scontri e vere e proprie stragi a Forlì e a Cesena, perpetrate dalle truppe del Papa agli ordini al cardinale Albani).
I moti del 1831 nel Riminese
La repressione delle truppe pontificie a Forlì nel 1832
Ovviamente ciò portò, nell’immediato e in seguito, a numerosi arresti di patrioti e «sovversivi», che furono poi deportati in penitenziari dello Stato pontificio fra cui il Forte di Civita Castellana, nel Viterbese. E fu proprio qui che, nell’agosto del 1836, i detenuti politici ricevettero la visita di un “incaricato brasiliano”, lo spoletino Vincenzo Savi, il quale comunicò loro che, in seguito ad accordi intercorsi con le autorità pontificie, sarebbe stata concessa la grazia a chi avesse accettato di trasferirsi in Brasile. Si trattava di qualcosa di non nuovo (era già stato sperimentato nel 1820 nei confronti di detenuti napoletani), che stava tra l’esilio volontario e la deportazione, ma che avrebbe consentito ai prigionieri di uscire dal carcere in cui languivano. Savi agiva a nome di una «Società di colonizzazione» di Bahia e vantava credenziali governative brasiliane, oltre ad un accordo con le autorità dello Stato della Chiesa, che non vedeva l’ora di liberarsi di prigionieri da mantenere e di “sovversivi” da allontanare.
Veduta del Forte di Civita Castellana in una stampa tratta da un dipinto del 1847 di William Brockedon e il Forte di Civita Castellana oggi
Buona parte dei detenuti interpellati accettò la commutazione della pena nell’esilio oltre-oceano, altri ottennero di essere esiliati in paesi europei (per lo più in Grecia), altri ancora, dopo avere accettato, ci ripensarono e tornarono sui propri passi. Alla fine, il numero di detenuti che partirono da Civita Castellana il 9 febbraio del 1837 fu di 62, a cui si aggiunsero alcune decine di emigranti volontari e, in alcuni casi, dei relativi familiari. Queste persone furono spostate prima a Roma, poi a Civitavecchia in attesa dell’imbarco. L’esilio era da considerarsi definitivo solo per chi era stato condannato all’ergastolo, mentre per gli altri il divieto di tornare nello Stato pontificio era “temporaneo” e consistente in un numero di anni doppio rispetto a quello della condanna detentiva ricevuta. Fra coloro che accettarono di essere condotti in Brasile, molti (la maggioranza) erano romagnoli che erano stati arrestati e condannati per la partecipazione ai moti del 1831 e 1832 e a fatti di sangue – per motivi politici – successivi a quelli.
L’arresto di alcuni Carbonari
Conosciamo i nomi, le provenienze, l’età nel 1837, l’entità delle condanne della maggior parte di loro, e riteniamo interessante elencarli: Bassi Domenico detto “Mengone”, di Lugo, ventottenne, calzolaio, condannato all’ergastolo; Bedeschi Domenico detto “Mingone”, di Lugo, ventiseienne, canepino, ergastolano; Bettini Giovanni detto “Morino”, di Forlì, ventiquattrenne, pescivendolo, ergastolano; Biancucci Gaetano detto “Orfanello”, di Lugo, ventiquattrenne, calzolaio, condannato a 20 di reclusione; Codovilli Filippo, di Rimini, ventottenne, vetturale, ergastolano; Cantarelli Gaetano detto “Prete”, di Forlì, ventiquattrenne, ergastolano; Centolani Salvatore detto “il Figlio del Gobbino”, di Lugo, ventisettenne, calzolaio, condanna di 20 anni; Colombari Giuseppe, di Imola, calzolaio, condanna di 10 anni; Compagnoni Luigi, di Lugo, ventitreenne, canepino, ergastolano; Cornacchia Bartolomeo, di Fognano ma residente a Russi, ventisettenne, condanna di 20 anni; Cornacchia Giovanni detto “il Galeotto”, di Fognano, ventiseienne, bracciante, condanna di 20 anni; Crispi (o Crespi) Giovanni detto “Crispetto”, di Lugo, ventiquattrenne, calzolaio, ergastolano; Donati Matteo detto “della Sabella”, di Bagnacavallo, trentaseienne, macellaio, ergastolano; Errani Giuseppe, di Faenza, calzolaio, condanna di 20 anni; Ferretti Giovanni, di Lugo, ventitreenne, fornaio, ergastolano; Folfi Giulio, di Forlì, ventisettenne, sarto, condanna di 10 anni; Foschini Celeste detto “Cannarello”, di Lugo, venticinquenne, canepino, ergastolano; Galleffi Achille detto “Morro” (o “Moro”), di Forlì, ventenne, ergastolano; Gherardi Paris detto “Parisino” o “Parisetto”, di Lugo, ventiduenne, condanna di 20 anni (secondo altri documenti: ergastolano); Gualducci Vincenzo, di Fognano, trentacinquenne, vetturale, condanna di 20 anni; Lombardi Mario (o Marco) detto “Pirinino”, di Forlì, ventottenne, macellaio, ergastolano; Melandri Vincenzo detto “della Checca”, di Forlimpopoli, quarantacinquenne, ergastolano; Mantini Pasquale detto “Baraccano” o “Baraccane”, di Forlì, ventitreenne, calzolaio, ergastolano (proveniente non dal carcere di Civita Castellana, ma da quello di Rimini); Martoni Antonio, di Lugo, ventisettenne, pescivendolo, ergastolano; Mazzolini Domenico, di Forlimpopoli, trentaduenne, possidente, ergastolano; Mongardi (o Mongardini) Stefano detto “Trabone”, di Lugo, ventiseienne, canepino, ergastolano; Morelli Francesco, di Rimini, ventiduenne, pittore, condanna di 25 anni; Moriani (o Mariani) Alessandro detto “Rossini” o “Roslini”, di Forlì, venticinquenne (secondo altra fonte, trentatreenne), sarto, ergastolano; Orselli Gaetano, di Meldola, trentunenne, calzolaio, condanna di 20 anni; Paganelli Giuseppe detto “Salghino”, di Forlì, diciannovenne, falegname, ergastolano; un altro Paganelli Giuseppe, detto “Bocchino”, di Forlì, trentenne, calzolaio, ergastolano; Pianori Crispino, di Brisighella, ventottenne, falegname, condanna di 20 anni; Piazza Ignazio, di Forlimpopoli, trentacinquenne, farmacista, ergastolano; Piazzoli Cosimo, di Forlì ma residente a Cesena, quarantatreenne, muratore, condanna di 5 anni; Rattuzzi (o Raffuzzi) Luigi, di Faenza, canepino, ergastolano; Ravaioli Angelo, di Ravenna, muratore, condanna di 20 anni; Righini Salvatore detto “Sottanone”, di Forlimpopoli, trentacinquenne, barbiere, ergastolano; Rossi Giovan Battista, di Lugo, stalliere, ergastolano; Scalabrini Bartolomeo, di San Marino, venticinquenne, condanna di 10 anni; Tergiani (o Terziani) Girolamo, di Faenza, ex militare pontificio, ergastolano; Toschi Francesco detto “Toschino”, di Lugo, ventitreenne, orefice, condanna di 20 anni; Vallicelli Scipione, di Forlì, ventinovenne, ebanista, condanna di 15 anni; Verlicchi Francesco detto “il Moretto”, di Lugo, ventiseienne, canepino, ergastolano; Zaganelli Pietro detto “Gabriello”, di Lugo, ventiquattrenne, calzolaio, condanna di 10 anni; Zaini Francesco, di Lugo, ventiseienne, ex militare pontificio, condanna di 10 anni; Zattoni Antonio detto “Naso di ottone”, trentenne, calzolaio, ergastolano; Zauli (o Zavoli) Giovanni detto “Pellincio”, di Rimini, venticinquenne, sarto, condanna di 25 anni.
Anche fra gli emigranti volontari che si aggiunsero ai detenuti esiliati c’erano dei romagnoli, e nello specifico: Adducci (o Aducci) Andrea, di Rimini, ventottenne, farmacista; Adducci (o Aducci) Domenico, di Rimini, ventiduenne, farmacista; Morelli Luigi, di Rimini, trentottenne, capomastro muratore. Sia alcuni degli esiliati che alcuni dei volontari partirono accompagnati da moglie figli; alla spedizione si aggiunsero anche tre frati cappuccini che dovevano raggiungere un convento di Bahia.
In totale coloro che si imbarcarono sulla nave Madonna delle Grazie, tra equipaggio e passeggeri, furono 135. E chi pensava che il viaggio, lo sbarco e la nuova vita di queste persone in Brasile sarebbero stati tranquilli, si sbagliava di grosso, come vedremo nel prossimo numero della rubrica.
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Complimenti, sempre bravissimo Eraldo.