I ragazzi di UPpunto ancora a colloquio con Paolo Piccirillo, sulla serie ‘Mare Fuori’, sul carcere, sui giovani

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Dopo la pausa estiva, torniamo a ospitare volentieri sul nostro quotidiano online – ogni lunedì – l’iniziativa patrocinata all’Associazione Amici di Enzo e portata avanti da un gruppo di studenti del Liceo Classico e del Liceo Scientifico di Ravenna, di Istituti Tecnici di Ravenna, di diversi ragazzi dell’Istituto Politecnico di Grumello del Monte della Fondazione IKAROS e della Scuola di Apprendistato Upprendo di Bergamo della Fondazione Et Labora. LA REDAZIONE

Paolo Piccirillo: “a volte libertà non è evadere da dove siamo, ma semplicemente evadere da noi stessi e cambiare”

Oggi vi proponiamo la seconda parte dell’intervista a Paolo Piccirillo, scrittore e sceneggiatore, che nonostante la giovane età (classe 1987), attraverso desiderio, ambizione e impegno, può già vantare un’importante carriera. Nel 2014 arrivò addirittura finalista per l’assegnazione del celebre Premio Strega ed è reduce dalla recente esperienza di sceneggiatore per la serie ‘Mare Fuori’, andata in onda su Rai2 fino a qualche settimana fa. Proprio attraverso le nostre domande ci racconta il suo lavoro in merito alla serie e il significato di questo progetto.

Da quali necessità nasce il progetto di Mare Fuori?

“Parlando con Cristiana, ideatrice della serie, è venuta fuori la sua esigenza di rappresentare due vite al limite in un carcere minorile. I protagonisti, Carmine e Filippo, sono ragazzi che sembrano così lontani, eppure in una situazione così estrema riescono a sviluppare un’amicizia perché si scoprono molto simili. Questa per me è diventata l’idea vincente della serie.”

Qual è il significato del titolo Mare Fuori?

“Più che al titolo mi viene da pensare alla parola fuori, che all’interno di in un carcere si carica di significato. In un carcere, il fuori è l’utopia, l’irraggiungibile. C’è una frase che dice Nadizza, la zingara nella serie, che recita: siamo più liberi qua che fuori. Perché il fuori si carica di tante speranze, di tante cose che avrebbero potuto fare ma che non sono riusciti. Mare perché la serie è ambientata a Nisida, un carcere minorile che si affaccia sul mare. Il mare fuori che li aspetta, un mare carico di opportunità.”

In cosa Mare Fuori si differenzia da altre serie che trattano gli stessi temi?

“Il protagonista è Filippo, un ragazzo di Milano che si trova a Napoli circondato dai figli della Camorra in un carcere minorile. Già questo è un aspetto molto interessante. Non perché sia un pesce fuor d’acqua, ma perché il personaggio si rivela non troppo diverso dagli altri nel contesto in cui si trova. Le sue debolezze e le debolezze dei ragazzi napoletani in carcere sono le stesse. É interessante perché fa capire che nessun mondo è totalmente estraneo da tutto. Una mia riflessione sulla serie è che, a differenza di molti film ambientati in carcere in cui alla fine quasi sempre qualcuno cerca di evadere, in Mare Fuori questa necessità non c’è. C’è un’evasione, sì, ma poi il ragazzo torna. Questo per me è un aspetto molto interessante. A volte la libertà non è evadere da dove siamo, magari è semplicemente evadere da noi stessi e cambiare. Questo lo puoi fare in un carcere o a casa tua.”

Che cosa le diverse generazioni possono trarre da questo programma?

“Dividiamo genitori e figli. Per i figli è importante l’insegnamento che chi sta in galera, in questo caso il ragazzo napoletano figlio della camorra, non è tanto diverso da loro. Non dobbiamo pensare: “Se lo merita” perché chissà cosa ha fatto. Non bisogna pensare che l’africano o il rom che hanno rubato siano tanto diversi da noi, sì, lo sono, ma lo sono perché sono cresciuti in un contesto diverso. Però poi se si va a vedere cosa hanno passato prima di entrare in carcere, tutto cambia. Di Mare Fuori mi piace il fatto che facciano vedere i giorni prima dell’arresto, i flashback fanno capire che in realtà, nei percorsi siamo tutti molto simili. I nostri errori sono simili, ci sono errori più grandi sì, ma il percorso che porta ad essi è affine. In questo siamo analoghi al camorrista, all’africano o al rom. C’è una politica che è anni che ci mangia su questa diversità, sul fatto che chi viene qui da fuori lo faccia per rubarci il lavoro e quello che è appena espresso va contro questa politica. Per questo è importante trasmettere il messaggio ai giovani: siete il futuro del nostro paese. Io credo che i giovani siano molto più intelligenti e lungimiranti di quello che vorrebbero farci credere e che sperano. L’intelligenza fa paura. I genitori possono trarre il messaggio di lasciare spazio alla vita dei propri figli. Senza imporre il proprio volere.”

Come è stato vedere le proprie battute recitate sullo schermo da attori così giovani?

“È stato davvero emozionante, i ragazzi sono stati bravissimi. Poi le battute, come ho detto all’inizio, passano all’attore che le cambia e le interpreta a modo suo. Nel mio caso sono stato fortunato perché gli attori hanno colto esattamente il messaggio. É stata una bella soddisfazione!”

Secondo te la serie potrebbe essere apprezzata anche all’estero?

“Sì, credo che la serie potrebbe essere apprezzata anche all’estero, perché tratta tematiche universali e per questo potrebbe essere ambientata in qualsiasi altra città che abbia lo stesso contesto. Inoltre, credo che un aspetto che potrebbe incuriosire gli spettatori all’estero è il fatto che sia ambientata a Nisida, l’unico carcere minorile in italia dove si ha un maggior numero di italiani che di stranieri. Spesso, infatti, nelle carceri minorili troviamo più rom o immigrati che italiani, mentre in questo carcere a Napoli vi è una maggiore affluenza di ragazzi italiani appartenenti a famiglie camorriste.”

Uppunto

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Commenti

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  1. Scritto da grazia

    Bravissimo, e la serie veramente bellissima