CAVE CANEM / Il grido dei giovani è soffocato come quello di Antigone. Essi gridano, ma non sono ascoltati

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La questione dell’educazione dei tempi che viviamo è il tema di una nuova rubrica che chiameremo semplicemente CAVE CANEM (e leggendo scoprirete il perché di questo titolo). È proposta da docenti ed educatori cui interessa il rapporto con gli studenti, con la realtà e con l’attualità. Attraverso il legame con i ragazzi di UPpunto – che ospitiamo già da diversi mesi – è nata dunque l’idea di tenere questa nuova rubrica mensile che si intrecci alla loro e che tratti dell’emergenza educativa, quanto mai attuale e scottante, soprattutto in questo periodo. LA REDAZIONE

CAVE CANEM: “Dov’era la luna?” di Tiziana Grillanda *

“Dov’era la luna?” È la domanda che apre la poesia di Pascoli L’assiuolo, un testo pieno di mistero che mi ha ispirato alcune riflessioni sulla situazione attuale. Dal buio gli arriva alle orecchie un pianto triste e lontano, il verso dell’assiuolo, chiu, che lugubre ispira tristi presagi. Quanti vorrebbero essere illuminati dalla luna nel buio di questa pandemia! Magari ne intravediamo la luce perlacea, che nonostante tutto, essa continua a diffondere, anche quando noi non la vediamo, a meno che non sia così bella e attraente come nelle limpide notti di questi giorni. Ma ci domandiamo dove sia finita l’immagine di colei che illumina da secoli il nostro cammino!

Per il grande Leopardi la luna era speranza e compagna tanto cara delle sue notti insonni:

Dolce e chiara è la notte e senza vento,        

E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti

Posa la luna, e di lontan rivela

Serena ogni montagna. 

Quando c’è la luna il poeta vive una arcana serenità, l’animo è sgombro dalle inquietudini della vita e lascia il posto all’idillio fra lui e quella interlocutrice silenziosa; quando poi la luna se ne va, tutto si rabbuia e non si vede più nulla di ciò che rende lieta ogni giornata:

Quale in notte solinga,

sovra campagne inargentate ed acque,

lá ’ve zefiro aleggia […] nell’infinito seno

scende la luna; e si scolora il mondo;

spariscon l’ombre, ed una

oscuritá la valle e il monte imbruna;

orba la notte resta… 

 

Anche noi restiamo “orbi” di quella luce che illumina i nostri passi se qualcuno, una persona dalla umanità eccezionale, non ci dona uno sguardo buono e intenso che ci permetta di vedere, oltre le ombre, l’azzurro del cielo. I nostri giovani oggi sono in questa pandemia il crinale su cui noi camminiamo con il rischio di lasciarci cadere giù, loro ma anche noi, se non ne accogliamo la sfida. Il loro è un grido soffocato come quello di Antigone, la protagonista della nota tragedia sofoclea. Essi gridano come Antigone, ma non sono ascoltati, perché le ragioni dello stato e del potere hanno poco a che fare con il loro cuore libero e puro da tutte le scorie del mondo. E così languono, nella certezza che prima o poi qualcuno doni loro la faccia lieta della luna, uno sguardo ineffabile, che pur devono avere rintracciato in qualche angolo recondito di questo mondo in corsa, perché lo hanno già stampato nel loro cuore, perciò lo aspettano, desiderosi di poterlo incontrare forse in un prof che, magari da una webcam, si soffermi proprio su ciascuno di loro, non solo per interrogarlo, ma per guardare la sua bella umanità che attende di essere svelata.

E allora sarebbe una vera rivelazione a quella “attesa” tanto amata da Clemente Rebora:

Ma deve venire,

 verrà, se resisto

 a sbocciare non visto,

 verrà d’improvviso,

 quando meno l’avverto. 

 

* Tiziana Grillanda, docente di lettere e grande appassionata di letteratura latina e italiana

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