La lunga affascinante storia del Mercato Coperto di Ravenna raccontata in un saggio di Paolo Bolzani

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Segni d’acqua e mercatura. La lunga storia e le molte cronache del Mercato Coperto di Ravenna è il titolo del bel saggio dell’architetto Paolo Bolzani pubblicato nel volume che raccoglie la ricerca storica sul mercato di Ravenna commissionata e pubblicata da Coop Alleanza 3.0 in collaborazione con Molino Spadoni e con il patrocinio del Comune di Ravenna. La ricerca è stata presentata il 3 luglio scorso alla Biblioteca Classense.

Qui pubblichiamo ampi stralci del saggio che rappresenta un’affascinante storia della genesi dello storico mercato di Ravenna.

“È difficile immaginare oggi Ravenna città d’acque attraversata da canali. La scomparsa dei fiumi a fatica traspare nella trama del tessuto viario originatosi dal loro tombamento, anche se nelle mappe urbane si riconosce il segno della “Y” generata dai tracciati degli alvei del Padenna e del Flumisellum. Il luogo del Mercato Coperto ne è peculiare memoria fisica, collocato nel punto in cui il primo riceveva le acque del secondo.” Comincia così il saggio che arriva subito al cuore di uno dei temi centrali della storia millenaria di Ravenna: il rapporto della città con l’elemento acqua.

Sul luogo sorgeva la basilica di San Michele in Africisco, costruita da Bacauda e Giuliano Argentario nel 545, mentre “dai tetti di via IV Novembre ora svetta solamente il suo campanile, attribuito al XV secolo ma ancora «gotico», mentre il muro absidale orna il negozio «Max Mara», dal 1994 subentrato al «forno e pasticceria dei F.lli Giorgioni», in questo sito dal 1912.”

Dal medioevo questo è il luogo della mercatura, ci dice Bolzani. E da qui si dipana il suo racconto che porta inevitabilmente alla Casa Matha. “La presenza dei fiumi e lo spostamento della residenza comunale dalla zona del Duomo a piazza del Popolo favorisce l’insediamento di pescherie, beccherie (macellerie) e drapperie. – scrive Bolzani – Qui nella guayta di San Michele in Africisco nel XIII secolo è documentata la presenza di una corporazione di pescivendoli che trae il proprio nome dall’edificio in cui tengono il mercato del pesce: Ordo Domus Mathae. Sono filoguelfi, mentre la componente filoghibellina, nota come Ordo mercati piscium e legata ai Traversari, tiene mercato nella parte sud dell’attuale via di Roma. Sono entrambi eredi di una Schola piscatorum, una corporazione che accoglie tra i propri soci non soltanto i pescatori ma anche i mercanti di pesce o forse mercanti tout court, segnalata nelle carte d’archivio dal 16 febbraio 1081. E ancora prima è documentata la presenza di una precedente Scola piscatorum Patoreno, cooperativa di enfiteuti dediti allo sfruttamento delle acque da pesca, di cui rimane la straordinaria Carta piscatoria del 12 aprile 943. Il nome Domus Mathae si trasforma in Casa Matha, e sta a rappresentare sia il fabbricato sia l’istituzione. Rimanda alla «stuoia di giunco», tipica erba di valle, ma piuttosto che ai capanni dei pescatori o alle baracche coperte di stuoie per la vendita del pesce, sembra rinviare alla «Casa della stuoia», un edificio in cui i ‘camerotti’ per la vendita sono delimitati da stuoie, sinonimo di «Mercato del Pesce».”

Già a metà del XIII secolo, la Casa Matha si trova in fregio alla facciata della chiesa di San Michele in Africisco, lungo la quale si dispongono i banchi di pesce. La Casa, ci dice Bolzani, è menzionata negli statuti cittadini del 1253, in cui si dispone «che nessuna meretrice o puttana pubblica, ladro, brigante, predatore, ovvero uomo di mala fama, debba o possa stare o abitare in Ravenna, segnatamente dal fabbricato dell’Ordine della Casa Matha fino alla casa di Bonaventura il Balestriere; e ciò a cagione dei cambiavalute e degli altri uomini dabbene che quivi hanno dimora».

 

Gli antichi banchi del pesce del Mercato Coperto di Ravenna (in ACMCRa, Archivio Fotografico, Mercato Coperto, 1919-22, n. 004)

 

Nel Settecento la sede della Casa Matha venne ricostruita dal Cardinale Ulisse Giuseppe Gozzadini di Bologna, legato pontificio di Ravenna, probabilmente sul sito della precedente costruzione medievale. Scrive Bolzani: “Era caratterizzata da due fronti loggiati, con quello principale rivolto a sud con quattro archi e gli stemmi del Cardinale e di Camillo Spreti, prospiciente un piazzale delimitato da una serie di bassi pilastrini in pietra. Savini riferisce inoltre che sotto la loggia con la pescheria vi fosse una porta dalla quale si saliva alla grande sala della residenza della società, dalle pareti bianche e spoglie, le panche in legno e una vecchia e logora poltrona, scranno del Massaro. Il 17 aprile 1893 la demolirono e le case vicine furono invase da «sorci grossissimi». A quei tempi il tratto nord di via IV Novembre è la «strada delle Pescherie», mentre quello sud è la «strada delle Beccherie»; si uniscono nel vicolo Casa Matha, all’inizio del XVI secolo noto come «vicolo delle Beccherie». Tra il 1869 e il 1876 la via viene allargata e i suoi fronti alzati, mentre nel 1873 viene intitolata a «Urbano Rattazzi». Via Matteotti è la «strada delle calzolerie»; piazza Andrea Costa è «via Casa Matha», poi «piazza Monte Grappa».”

Bolzani racconta che dopo la conquista napoleonica e la soppressione delle congregazioni religiose il mercato coperto si tiene nel convento di San Domenico, e già nei primi decenni dell’800 si fa strada il problema di un nuovo mercato coperto, che “viene affrontato da una lunga serie di progetti non realizzati, come nel 1857 da Vincenzo Rambelli, che prevede una radicale ristrutturazione dell’intero isolato compreso tra le vie IV Novembre e Ferruzzi… Pur avendo approvato il progetto, il consiglio comunale non procede alla sua attuazione e due anni dopo sposta la sede del mercato «nell’isola circoscritta delle strade delle Calzoleria e Beccheria».”

I progetti ottocenteschi per il mercato sono tanti: spiccano i nomi del «capo mastro muratore Luigi Feletti di Ravenna e dell’Ing. Tomaso Stamigni di Perugia», il progetto «ordinato dalla Casa matta all’ing. Romolo Conti» del 1869, quello dell’ingegnere Ugo Vignuzzi del 1875, collegati all’allargamento della «strada Beccheria». Infine, nel 1893 la Vecchia Pescheria di Gozzadini viene demolita e ricostruita l’anno dopo su progetto di Ugo Vignuzzi. Dalla sua forma semicircolare con le botteghe nell’emiciclo deriva il nome Esedra Vignuzzi, ci ricorda Bolzani, che racconta anche come l’Esedra “non piacque a Savini, poiché «di stile troppo serio, ed ha più apparenza di Panteon che di pescheria; fu male impiantata, perché non allineata con via Cavour, per cui vi fa un angolo sgradevole e incomodo».”

La nuova piazzetta dove oggi vediamo la sede della Casa Matha e del Mercato Coperto (Piazza Andrea Costa) “giunge a un primo compimento nel 1901 con il nuovo palazzo della Casa Matha, che pone fine a un «groviglio di viuzze e stamberghe miserabili». Firma l’opera l’architetto Giovanni Tempioni.” Poi, scrive Bolzani, riemerge negli anni successivi il bisogno di un mercato coperto, come si legge ancora in una Delibera comunale del 22 maggio 1916: «il problema di dotare la città di Ravenna d’un fabbricato centrale per la vendita al minuto dei generi alimentari, al riparo dalle intemperie e sotto la salvaguardia dell’Igiene, è ormai penetrato profondamente nella coscienza della popolazione e deve essere risolto».

E così arrivano altri progetti e altre polemiche. “La delibera del 1916 richiama un progetto per il nuovo Mercato Coperto, redatto a partire dal 4 agosto 1911 e firmato da Eugenio Baroncelli, ingegnere Capo dell’Ufficio Tecnico, insieme all’assistente Arturo Gabici. Nella Relazione di progetto si indica come sito l’isolato bordato da piazza Costa, via IV Novembre e via Ponte Marino, incorporando l’Esedra nel Mercato Coperto. – scrive Bolzani – Il progetto esecutivo viene consegnato il 6 marzo 1913, per essere approvato il 21 maggio, ma il 22 novembre la Prefettura richiede una serie di modifiche a seguito delle osservazioni del Consiglio Provinciale Sanitario e della Commissione d’Ornato, cui segue la ripresentazione del progetto il 30 dicembre. A questo punto, forse complice la temperie politica che porterà al commissariamento del Comune, il progetto incorre in altre opposizioni finché il Commissario lo ritira il 3 aprile 1914, in quanto favorevole alla conservazione dell’Esedra.”

Terminato il commissariamento, la nuova Amministrazione guidata da Fortunato Buzzi ripresenta il progetto nel settembre 1914, cui la Prefettura risponde “nominando una Commissione di sei membri, che decide di mantenere il progetto nella parte tecnica e di cambiarlo in quella architettonica. Perciò il 31 ottobre Buzzi affida l’incarico a Edoardo Collamarini, professore all’Accademia di Belle Arti di Bologna.” Il 28 novembre 1914 Collamarini presenta il suo primo progetto che si ispira al Tempio Malatestiano di Rimini, «dal quale ho attinto il concetto di grandi arconi di chiara semplicità». Bolzani ci dice che il progetto “è approvato dalla Commissione Prefettizia «con voto di plauso». Così fa il 22 dicembre anche la Giunta Provinciale, a condizione che recepisca le osservazioni del Consiglio Provinciale Sanitario, espressosi il 19 dicembre con numerose osservazioni sostanziali, che riguardano il costo ingente e il fatto che il progetto «non era piaciuto alla cittadinanza».”

Collamarini viene dunque reincaricato «di studiare un nuovo progetto» che si rivela “ancora più costoso, anche a causa dell’aumento dei prezzi dei materiali e dei lavori edili dovuti alla guerra, e rende necessario il rifinanziamento con un secondo mutuo di 500.000 lire oltre a quello iniziale di 400.000.” Il Consiglio inizialmente difende e approva il progetto, poi il Sindaco Buzzi pone fine al rapporto di lavoro con il professore «per pure ragioni finanziarie».

Dopo Collamarini tocca a Tempioni, già progettista della Casa Matha, che aveva remato contro il Collamarini. Sembra una soap opera. I progetti di Tempioni saranno addirittura nove: e ci sarà in questo caso pure una consulenza di Corrado Ricci. “L’ultimo progetto di Tempioni viene approvato il 14 febbraio 1919, per un spesa di 927.350 lire. A questo progetto farà riferimento la «Nuova Convenzione con la Casa Matha» del 4 aprile, con cui si acconsente all’abbattimento della Pescheria in cambio della cessione da parte del Comune di «12 botteghe disposte a sinistra entrando nel grande vano destinato al mercato generale». – scrive Bolzani – Ma i contrasti dell’architetto ravennate con il Comune si chiudono con una lettera del 23 maggio di Buzzi, in cui lo informa che «senza per nulla diminuire il merito indiscusso di V. E. Illma, la Giunta ha deciso di adottare un progetto totalmente diverso redatto dal nostro Ufficio Tecnico».” Insomma, anche Tempioni viene messo alla porta.

 

Uno dei tanti progetti bocciati di Giovanni Tempioni (in ASCRa, Buste Speciali, Mercato Coperto, 29)

 

Si arriva così al progetto definitivo realizzato da Eugenio Baroncelli e Tobia Gordini. “Il nuovo progetto di costruzione di un mercato coperto verrà compilato «per la parte tecnica dall’esimio Ing. Eugenio Baroncelli, e per la parte artistica dal valentissimo disegnatore prof. Tobia Gordini». – racconta Bolzani – Baroncelli realizzerà il Mercato del Pesce di Marina di Ravenna nel 1937-38 e firmerà il nuovo piano regolatore della città nel 1927 insieme a Gordini, che negli anni Venti progetterà la palazzina neoquattrocentesca in piazza Einaudi con Clemente Pedretti, mentre negli anni Trenta firma il Liceo Classico D. Alighieri, uscito dalla Sistemazione della Zona Dantesca.”

Il 29 maggio 1919 il Comune di Ravenna approva il progetto Baroncelli-Gordini: sarà quello poi realizzato e inaugurato nel 1922. Nel marzo 1921 sappiamo della sospensione dei lavori per mancanza di marmi e ferro per «le colossali tettoie in ferro». La fine lavori viene posticipata al 1922, “a causa dei restauri «alle facciate di case private», «alle Basiliche di S. Giovanni Evangelista e di S. Francesco, quelli eseguiti nella zona dantesca», «la costruzione di case operaie e del nuovo Ippodromo». In sostanza, c’erano molti lavori pubblici in ballo e pochi soldi. Il 30 luglio si rassicura che «la costruzione è a buon punto. Le grandi tettoie in ferro sono pressoché ultimate […] La facciata che prospetta sulla via Ponte Marino è già del tutto scoperta […] appena la via sarà selciata a nuovo si scoprirà anche la facciata che guarda in via Rattazzi, di fronte all’Albergo Cappello. Resta da ultimarsi la facciata principale e cioè quella costruita tutta in marmo».”

Bolzani scrive: “Infine, il 20 maggio 1922 si annuncia la consegna del Mercato Coperto alla Commissione incaricata della gestione della Fiera Campionaria in programma dal 10 al 22 giugno. Bernicoli relaziona sulle dimensioni del nuovo edificio di 2.630 metri quadri di superficie, con i quattro grandi padiglioni lunghi «39 m e larghi 10,80 e alti 11 m», in cui si trova «la pescheria, botteghe diverse e posteggi liberi e fissi»; le colonne in ghisa «fornite dalle Officine di Forlì», il pavimento in asfalto naturale «eseguito dalla ditta Zenone Soave di Vicenza». Nel Corriere del 20 maggio si precisa che in realtà i lavori non sono «del tutto completati, ma il locale trovasi oggi nelle condizioni di poter accogliere la progettata esposizione». L’apertura al pubblico del nuovo mercato avverrà “simbolicamente” il 28 ottobre 1922 (giorno della marcia su Roma, ndr) come riportato dallo stesso Corrado Ricci.”

Se il primo preventivo del 1911 era di 550.000 lire, ora il consuntivo è di quasi quattro milioni, ci dice Bolzani, ricordandoci in questo modo che la lievitazione dei prezzi degli appalti pubblici è un male antico. 

Bolzani descrive le caratteristiche del nuovo mercato che mostra esternamente “un timbro sobriamente neoclassico, mosso da un lieve fermento eclettico. Il trattamento e la composizione delle facciate rilegge il Palazzo dell’Orologio, già Dogana Vecchia, così come suggerito dalla Commissione d’Ornato il 28 maggio 1919, alternando la cortina in mattoni ad inserti in «sasso d’Istria delle cave di Grisignana ed Orsera», pietra che prende le distanze dal marmo di Trani proposto da Tempioni. La facciata principale crea il fondale settentrionale definitivo per piazza Costa. Leggermente arretrata a nord rispetto al piano della facciata dell’Esedra, viene rimodellata su pianta trapezoidale, con le due ali laterali aperte a formare un angolo retto. È impaginata da paraste, che nel piano attico si concludono con un triglifo, estroflesso morbidamente a guisa di modiglione, mentre poggiano sulla fascia martellinata dell’attacco a terra con cui, al pari della sequenza di finestraturedei fronti secondari, si evoca forse il tempio albertiano riminese. La composizione si conclude, infine, con un’arca centrale e la scritta «Mercato», ornate da una grande conchiglia marina, forse memore di quelle dell’Esedra, emergente da un tripudio di frutta. Il fregio della trabeazione è impaginato tra due triglifi a cinque incavi e sette gocce, che ritroveremo anche nei fronti secondari, e si orna con tre festoni, legati con pendagli e nastrini serpeggianti. Il partito architettonico ha origine dal grande arco trionfale centrale, declinato dalla lezione “colta” della serliana, nella simbolica coppia di colonne doriche e nelle loro decorazioni a echino ovulato e collarino a rosette. Dall’architettura ecco emergere un vocabolario iconografico “beneaugurante” che dalla conchiglia marina, la frutta e i festoni, arriva fino al “genio del luogo” sorridente nel concio in chiave dell’arco trionfale, e a Mercurio, il cui caduceo rassicura sul buon auspicio per la mercatura e per l’equilibrio.”

Trascorsi circa sessant’anni dall’inaugurazione, tra il 1981 e il 1983 Bolzani ricorda infine che si realizzano una serie di “lavori di restauro “critico”, progettati e diretti dagli architetti Danilo Naglia, Roberto Raffoni e Giuseppe Grossi. L’edificio viene sottoposto a un’opera di adeguamento impiantistico, igienico, sismico – con le controventature a mezz’altezza tra le colonne – e funzionale… I lavori non rinunciano, soprattutto nella nuova dotazione di soppalchi e scale, alla vis espressiva di Naglia, che firma il disegno dei parapetti e nei cancelli. Nel corso del lavoro verranno realizzate nuove “case matte” come stands per i rivenditori, ma purtroppo si sacrificano i banchi originari della pescheria, che comportano l’eliminazione del «caratteristico aspetto originario» della vendita del pesce.”

 

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