FEM NEWS – LA FINESTRA FEMMINISTA / Ravenna non ha bisogno di street tutor ma di uno spazio pubblico come bene comune, inclusivo a misura di tuttie

A Ravenna nuovi guardiani, detti street tutor, si aggiungeranno presto ai volontari ANC (Associazione Nazionale Carabinieri), ai vigilanti privati, alle forze dell’ordine, per garantire la sicurezza urbana, nell’ambito del progetto Sicurezza integrata durante l’animazione e gli eventi del centro storico.

Perché la città ha bisogno di street tutor? C’è qualche imminente pericolo? Pare di no… è solo che ogni volta che la regione Emilia-Romagna o il Ministero dell’Interno individuano possibilità nuove nell’ambito della sicurezza, Ravenna risponde. Non è un caso che siamo stati premiati come città virtuosa per la sicurezza dall’ANCI, dichiara il vicesindaco con delega alla sicurezza Eugenio Fusignani.

E cosa fa uno street tutor? È impegnato in attività di prevenzione dei rischi e di mediazione dei conflitti nello spazio, anche pubblico, adiacente ai locali e ai luoghi in cui si svolgono gli eventi. Bene.

Nolite respira a fondo e cerca di mettere in ordine le cose.

La sicurezza è una questione di genere?

Sì. In Italia non abbiamo ancora capito che i dati devono essere rilevati disaggregati per genere, perché solo così si può garantire, cioè ESSERE SICURIE, che la rappresentazione che i numeri danno della realtà corrisponda alla realtà. Tuttavia il sito del Ministero degli Interni riporta uno studio della Criminalpol del dipartimento della Pubblica Sicurezza secondo cui nel 2020 solo il 17,9% dei reati è stato compiuto da donne a fronte dell’82,1% compiuto da uomini. Nella stragrande maggioranza dei casi gli uomini delinquono e le donne ne pagano tutte le conseguenze, non ultimi stupri, violenze, abusi, maltrattamenti e femminicidi. 

La sicurezza è una questione di genere. È del tutto evidente che le città saranno sicure quando gli uomini, o almeno quell’82,1%, smetteranno di delinquere. Eppure, invece di seguire questo banale e lineare ragionamento, si mescolano le carte in tavola e si ribaltano le parti.

Da anni assistiamo ad una vera e propria distorsione del concetto di sicurezza, da un’ottica di welfare ed erogazione di servizi da parte dello Stato per prevenire marginalità ed esclusione sociale a un’ottica e una pratica di controllo, sorveglianza, gestione dell’ordine pubblico, militarizzazione del territorio e delle menti.

La sicurezza è uno degli strumenti attraverso cui si afferma e si conserva la disparità del potere. 

La sicurezza di una città pensata e organizzata da forze dell’ordine e da corpi maschili che se ne ergono a TUTORI è una città che vuole mantenere ben saldo un ordine capitalista etero-patriarcale dominante e in quanto tale sessista, razzista, classista, abilista.

Politiche securitarie di questo tipo attivano dinamiche escludenti e stigmatizzanti verso i gruppi sociali e i corpi che non sono compresi nella e dalla norma, nello standard che decide a priori cosa e chi è lecito e cosa e chi no. Facile individuarli: migrantie, stranierie, nomadi, poverie, donne, persone con disabilità. È così che lo spazio più che pubblico diventa escludente.

Si è giunti persino a giustificare queste politiche motivandole con un presunto rafforzamento della libertà femminile (dal pericolo dello straniero stupratore) e alimentando così un clima di allarme sociale, una spirale di paura di matrice razziale, un sentimento pervasivo di insicurezza che invoca più polizia, più telecamere, più militari nei quartieri.

Creare nuovi e falsi problemi è il modo migliore per spostare l’attenzione dai veri problemi, mai risolti, e che la pandemia ha aggravato: disuguaglianze, povertà, precarietà, disoccupazione, violenza di genere, crisi ambientale.

Nolite si è chiesta se c’è davvero bisogno di street tutor. Fatica inutile. I conti non tornano. Le funzioni a loro assegnate – controllo, vigilanza, attività di prevenzione dei rischi e mediazione dei conflitti nello spazio pubblico – sono tra i compiti della Polizia locale. Allora perché, se di street tutor c’è bisogno, non assumere poliziotti con contratti regolari vista anche la carenza di organico più volte denunciata dai Sindacati di categoria?

Tra le funzioni assegnate agli street tutor a Nolite non sfugge la mediazione dei conflitti. Anche qui c’è qualcosa che non va. Una distorsione che è una trappola dentro cui non cadiamo. Bisogna saper distinguere i fenomeni e dare loro i nomi giusti per poter trovare strumenti adatti alla soluzione dei problemi. Fuori dai locali non nascono conflitti da mediare. Fuori dai locali scattano tafferugli, risse, liti, colluttazioni, rappresaglie, la parte finale di conti sospesi. I conflitti sono una faccenda seria, talvolta estenuante, sono quelli che nascono nelle famiglie, nelle aule scolastiche, nei condomini, nel lavoro, che rimangono in cova per anni logorando le relazioni e che talvolta terminano con violenze inaudite.

Esistono master, profili professionali, tecniche e pratiche diverse da applicare a diversi contesti, familiari, relazionali, sociali, lavorativi, comunitari, ecc…

In quale ambito di conflitti saranno formati gli street tutor? E da chi?

Infine gli street tutor agiranno sì nello spazio pubblico ma adiacente ai locali cioè allo spazio privato. Insomma, oltre ad essere garanti del decoro, saranno anche garanti del diritto di impresa, degli interessi degli esercenti. Un’altra idea distorta e perversa di spazio pubblico.

Nolite dice BASTA e chiede un cambio di paradigma. Occorre ripartire da politiche pubbliche del Comune che rispondano ai bisogni dei cittadini e delle cittadine e non del mercato.

Ripartire dai bisogni reali di tutte le persone che vivono in un territorio, in una città: uomini, donne, bambinie, anzianie, disabili, stranierie, queer e tanti altrie in modo indiscriminato e inclusivo. Ripartire da una progettazione della città a misura delle persone che la abitano, abbandonando il modello di città progettata da uomini per gli uomini.

Pensare lo spazio pubblico come bene comune, inclusivo e partecipato

Considerando più punti di vista (genere, classe, età, abilismo, culture). Servono non solo banche e supermercati, ma luoghi di incontro informali, luoghi di aggregazione, spazi di comunità, centri sociali e culturali, orti sociali, lavanderie comuni, cortili, piazze, campi gioco, centri sportivi, parchi, dove le persone possano incontrarsi, relazionarsi, parlare senza pagare affitti, dove i bambini e le bambine possano giocare e fare sport, dove far crescere una socialità interculturale e mutualistica, dove far crescere comunità di cura di vicinato.

Le città sono per eccellenza luoghi della sicurezza o dell’insicurezza, a seconda del genere, del proprio status economico, del lavoro che si svolge, della cultura di provenienza. Non si tratta quindi di costruire una “città sicura” quanto una città “inclusiva” a misura di tuttie. Per le donne significa prima di tutto sentirsi libere e sicure di camminare per strada a qualunque ora del giorno e della notte senza paura, senza avere in mano il telefono con il dito pronto alla chiamata d’emergenza.

Significa illuminazione delle strade, marciapiedi adeguati, trasporti pubblici efficienti, mobilità sostenibile, spazi pubblici vivi frequentati e inclusivi. Significa poter contare su una rete di servizi pubblici efficienti e luoghi positivi, di aggregazione o di rifugio in caso di necessità.

Significa poter contare su politiche nazionali e locali, queste sì integrate, di contrasto alla violenza sistemica e strutturale sulle donne, alla cultura dello stupro, alle discriminazioni multiple, che avvengono nella quasi totalità fra le mura domestiche e nel mondo del lavoro.

Un cambio di paradigma che delinea una visione della città a radice femminista che diventa automaticamente solidale, inclusiva, queeer, antirazzista, ecologista, democratica, non securitaria o paternalista.

Utopia? No, una visione concreta per la crescita e il benessere di tuttie.

Decoro?

FemNews di Nolite

Ogni mercoledì si apre una finestra femminista su RavennaNotizie, dalla quale ogni settimana si respira aria pungente, si espongono germogli al sole, si stende la biancheria profumata al sapone di Marsiglia, si appendono lunghe trecce di aglio e peperoncino, ci si rilassa con un bicchiere di vino e l’ultima sigaretta, si parla con il vicinato, si accarezzano felini senza nome cantando Moon river, si guarda oltre con occhiali di genere. Nasce così una rubrica autonoma rispetto alla testata che gentilmente la ospita, pluralista, apartitica, decisamente femminista, che cerca di trovare il modo di agire per trasformare il mondo. Fem News ha una firma collettiva NOLITE – imperativo negativo latino omaggio alla condivisa cultura umanistica, alla passione politica, alla compulsione alla lettura, alla madre Atwood (Nolite te bastardes carborundorum, Non consentire che i bastardi ti annientino), alla lotta ancillare per dire no al pensiero dominante patriarcale, coloniale e specista.