Compie 50 anni la legge sugli asili nido: le lotte delle donne per ottenerla e l’importanza che hanno ancora oggi

Esattamente 50 anni fa , il 6 dicembre del 1971, vedeva la luce la legge che istituiva gli asili nido. Prima di allora, i figli crescevano in casa, accuditi da mamme in primis e da tutta una rete familiare prevalentemente al femminile, perché era la donna che aveva in carico la cura della famiglia. Il traguardo dei servizi pubblici per l’infanzia non fu però, è bene ricordarlo, una manna caduta dal cielo, quanto il frutto delle lotte portate avanti dalle donne, dalle campagne al Parlamento. In prima linea ci furono le donne dell’UDI, l’Unione Donne Italiane, che raccolsero e organizzarono la protesta, riuscendo a portare a compimento un passaggio che possiamo definire storico. Molte cose da allora sono cambiate, molte restano da difendere e molte altre da conquistare. Nella ricorrenza del 50enario dalla promulgazione della legge 1044 del 1971, abbiamo ripercorso i passaggi storici che l’hanno vista sbocciare e l’attuale importanza dei servizi pubblici all’infanzia con Laura Orlandini, storica, ricercatrice per l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Ravenna e voce attiva di UDI Ravenna.

Sono passati 50 anni dall’approvazione della legge, ci racconti delle lotte per ottenerla?

La legge è stata varata il 6 dicembre 1971, ma si è trattato di un lungo percorso, un traguardo conquistato grazie a una grande mobilitazione femminile e all’impegno tenace di alcune parlamentari. La prima proposta di legge per una “riforma dell’assistenza a maternità e infanzia” è del 1960, l’anno seguente lo stesso gruppo di deputate presentava quella per l’istituzione di un sistema nazionale di asili nido.

Si trattava di donne in primo piano nel movimento per l’emancipazione femminile e che provenivano anche dall’esperienza della Resistenza: Marisa Rodano, Adele Bei, Nilde Iotti, Mirella Angiola, Lina Merlin, per citarne alcune. A questo corrispose una mobilitazione territoriale vastissima, in crescita proprio a partire dai primi anni Sessanta. In particolare l’Emilia Romagna fu un terreno particolarmente vivace per questa battaglia: l’Unione Donne Italiane poteva contare sul territorio su una rete vastissima e molto ricettiva, che iniziò a discutere a fondo dell’argomento e a confrontarsi con le amministrazioni.

Alcune amministratrici lungimiranti e caparbie, entrate nelle giunte comunali in quegli anni negli assessorati ai Servizi sociali, portarono avanti la proposta difendendola con determinazione: il primo nido comunale fu inaugurato a Bologna nel 1969, ben due anni prima della legge nazionale.

Archivio Udi Ravenna 1970 (citare la dicitura se usata)

Allora significava consolidare una rivoluzione: già dagli anni ’60 le donne avevano cominciato ad uscire di casa per lavorare, ma una volta sposate ci si aspettava che restassero a casa ad occuparsi dei figli. Gli asili diventarono allora una lotta di emancipazione femminile?

Certamente, il movimento delle donne iniziò a discuterne perché era necessario dare risposte ai bisogni nuovi di una società in mutamento. La famiglia stava cambiando e molte donne si affacciavano al mondo del lavoro salariato. La divisione dei ruoli tradizionali andava messa in discussione, permettendo alle donne di dedicarsi a lavori stabili e a percorsi professionali qualificati. La mancanza di servizi sociali le costringeva invece a occupazioni precarie e stagionali, o le relegava nel lavoro a domicilio, per tentare di conciliare (a fatica e in condizioni di sfruttamento) il proprio impiego con il lavoro domestico di cura. Che spettava a loro, e a loro soltanto.

Parlare di nidi e di servizi sociali significava promuovere una visione radicalmente nuova della divisione dei ruoli famigliari, chiedendo alla società di occuparsi di quegli ambiti che pesavano ancora interamente sulle donne, promuovendo quindi indipendenza e parità di opportunità. A questo si aggiungeva una attenzione verso l’infanzia che il movimento femminile aveva maturato fin dai suoi primi anni: il dibattito sui nidi e materne era alimentato anche dalla volontà di garantire a bambine e bambini un progetto educativo adeguato, parità di stimoli e crescita sociale, secondo i moderni concetti pedagogici.

Le donne della provincia di Ravenna furono in prima linea in questa battaglia politica, raccontacene.

L’intera Emilia Romagna, come ho detto, rispose estesamente all’appello. Nel ravennate c’erano circoli Udi in ogni borgo, nei centri della provincia e nei luoghi di lavoro. Questo significava una comunità di donne che aveva occasione di confrontarsi e fare rete. Vennero diffusi questionari tra le donne delle campagne, per chiedere quali fossero le esigenze, quali le aspirazioni sul lavoro, a chi erano affidati i bimbi piccoli. I risultati di queste indagini venivano poi sottoposti alle amministrazioni. Fin dal 1960 troviamo convegni e incontri pubblici, poi diramati in petizioni territoriali e manifestazioni nazionali, come quella decisiva che si tenne a Bologna nel febbraio del 1969.

I primi nidi comunali sorsero ad Alfonsine e a Villanova di Bagnacavallo già nell’estate del 1971, per volontà delle amministrazioni che avevano accolto le istanze della mobilitazione femminile. A Ravenna fu nominata assessora ai Servizi sociali e all’Istruzione la comunista Franca Eredi, proveniente dalla militanza nell’Udi, che fin da subito si dedicò a portare avanti un progetto allargato di educazione all’infanzia, forte del sostegno di tante donne pronte a scendere in piazza.

Nell’ottobre 1972 fu inaugurato il primo nido comunale ravennate, nel villaggio Nullo Baldini. La prima tappa di un lungo percorso che ha portato a quella rete di servizi attiva ancora oggi.

Archivio Udi Ravenna 1968 (citare la dicitura se usata)

A distanza di 50 anni dall’approvazione della legge, gli asili nido restano di importanza centrale nel sistema di welfare, si ricorda sempre che sono troppo pochi e si guarda ai soldi del PNRR per aumentarli. Qual è l’attualità di questa ricorrenza, ancora oggi?

Il movimento negli anni Sessanta si fondava su una intuizione fondamentale: ascoltare i bisogni, conoscere i problemi e le esigenze per trovare soluzioni comuni. Questo è senz’altro un punto di partenza per affrontare un tema così cruciale, che riguarda molti aspetti importanti della vita famigliare e sociale. Senz’altro allora la spinta principale fu quella di permettere alle donne di lavorare, affinché il lavoro femminile non fosse considerato una eccezione o un problema: venne ribaltata la prospettiva, era la società tutta che doveva riflettere sull’infanzia e l’educazione.

Fu una svolta importante, da cui è necessario proseguire. Ora i ruoli famigliari sono cambiati, sono molti i padri che partecipano della cura e crescita dei figli piccoli, o che vorrebbero farlo ma non ne hanno possibilità, perché non sono previsti congedi di paternità adeguati. Il lavoro delle donne è considerato qualcosa di normale, oltre che necessario per l’economia famigliare: eppure, ad ogni crisi tornano a ripresentarsi dinamiche antiche, sono le donne a lasciare il lavoro se i servizi non rispondono alle esigenze. Lo abbiamo visto con la pandemia.

Sono molte lo cose su cui è necessario riflettere, chiedendo una rete di strutture adeguata e di qualità, che metta al centro bambine e
bambini e tenga conto delle nuove esigenze delle famiglie.

Udi sta organizzando anche un momento di incontro per ricordare questa data storica, ce ne vuoi parlare?

Vorremmo cogliere l’occasione di questa ricorrenza per confrontarci sul presente e pensare a prospettive per il futuro. Stiamo pensando a una occasione di riflessione e discussione, in forma seminariale, probabilmente a febbraio. Vi aggiorneremo!