Quaderni della quarantena di un misterioso architetto di nome A.P. / Seconda puntata

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Continuiamo a seguire le vicende di A. P. alias CORONAVIR che abbiamo lasciato sugli appunti di sabato 7 e domenica 8 marzo (si trattava della prima puntata, da noi pubblicata il 26 marzo: infatti, abbiamo deciso di pubblicare passo a passo le pagine del nostro ogni due giorni, nel caso qualcheduno volesse farne un appuntamento fisso e si prendesse premura di seguirne gli sviluppi). La domenica in questione, dunque, A.P. andava ripetendosi di essere sano, sanissimo. E di stare bene, anzi benissimo. Ma a noi qualche dubbio, purtuttavia, era sorto.

LA REDAZIONE

Lunedì 9 marzo

Dormito male. Acidità di stomaco per il troppo vino. Nel dormiveglia visioni demenziali: dei cinesi con la faccia da pipistrello mi entravano in casa, tossivano sui piatti, sui bicchieri. Mi invitavano a mangiare con loro e non riuscivo a dire di no; sentivo il contagio crescere, e i polmoni grattavano come pieni di sabbia. Mentre tossivo uno di loro mi chiedeva di continuo: “Dov’è paziente zelo? Dov’è paziente zelo?”.

Mi sveglio poco prima dell’alba. Esco sul terrazzo e cerco un segno umano, ma tutti dormono ancora. Soltanto io godo di questo sole inutile, già primaverile, che sbuca dalle nuvole là in fondo, dove ci dovrebbe essere il mare.

Lavoro per tutta la mattina ai rendering del lotto Melandri. Faccio del mio meglio per migliorare il progetto. Addolcisco le linee, disegno larghe finestre a ogni balcone, aggiungo addirittura il riflesso del grattacielo sull’acqua della Darsena. Per un po’ non penso più a niente. Resisto alla tentazione di leggere le notizie. Chiamo il capo, lo aggiorno sul lavoro. Dopo una pausa che mi sembra più lunga del normale mi dice di andare avanti, che conta su di me, che devo dare il massimo.

Prima di pranzo do un occhio ai giornali. 9.000 positivi, 400 morti in un giorno. “Rischiamo lo choc economico”, grida qualcuno. Mi sale l’agitazione. In Francia “3.500 persone vestite da Puffi sfidano l’epidemia”. Pare abbiano detto che “pufferanno” il virus. Mi sale l’agitazione.

Dopo i puffi francesi naturalmente è comparso anche Vittorio Sgarbi. Tra fumetti ci si capisce. Seduto in mezzo a busti, quadri e statue, come una sorta di Des Esseintes sotto amfetamine, dice che questo virus non esiste, che è una montatura. Incita gli ascoltatori ad uscire e visitare Codogno e Bergamo. Questo è il virus “del buco del culo” urla. Mi fido: in questo campo, lui è decisamente un esperto.

Non ho appetito, devo bere. Finisco l’ultima bottiglia di Cabernet. Sara non si fa sentire per tutto il pomeriggio. Apro Whatsapp per scriverle un messaggio (adesso sento il bisogno di una sua foto, lei nuda davanti allo specchio, dopo la doccia, con quei turbanti da odalisca in bilico sulla testa; oppure stesa sul letto, il culo che spunta come una cupola oltre la curva dei fianchi), ma vengo investito da una marea di meme dai vari gruppi che non controllo da ieri sera. Desisto e spengo il cellulare.

Per il resto del giorno rimango davanti al televisore, piacevolmente brillo. Le immagini mi scorrono davanti come una giostra delirante, tutto si confonde. Carceri in fiamme, le famiglie in spiaggia a prendere il sole, Conte che annuncia l’estensione della quarantena a tutta Italia, uomini sovrappeso che corrono in strada con le mascherine, Conte che fa jogging con la mascherina, carceri in spiaggia, uomini sovrappeso in fiamme…

Fila supermercato

Martedì 10 marzo

Mi tolgo la tuta marcia che porto da sei giorni ed esco a fare la spesa. Il sole splende sulle nostre sventure, per dispetto. Sui marciapiedi c’è vita. Mi accorgo di osservare i passanti in modo diverso, come tanti esemplari di una specie in via d’estinzione. Ricambiano il mio sguardo con una punta di sospetto. Sono l’unico a non portare la mascherina.

Se porti la mascherina probabilmente sei positivo, dunque sei sospetto. Se non porti la mascherina probabilmente ti infetterai, dunque sei sospetto. Sei vivo, dunque sei sospetto.

Al supermercato c’è fila. Prendo il mio posto in coda, distanziato dalle altre persone. Molti sono anziani. Arriva una signora sui settanta, chiede di poter passare davanti perché ha lasciato il nipote da solo in casa. Qualcuno mugugna, ma alla fine la facciamo passare. Mentre mi supera, per sbaglio mi urta il braccio, mi guarda e si mette a ringhiare. Penso che anche le museruole potrebbero funzionare bene, in questi giorni.

Non toccarti la faccia, mi ripeto, mentre riempio il carrello. Immediatamente comincio a sentire prurito al naso. È insopportabile. Nascosto fra gli scaffali mi metto i guanti di plastica e mi gratto col gambo del sedano. Sorrido alla signora che mi passa di fianco; non ringhia più, mi getta uno sguardo veloce, terrorizzato.

In fila per pagare, disastro. Starnutisco appena, ma mi dimentico di farlo nella piega del gomito. Ogni attività si ferma per qualche secondo, mi guardano tutti. Un bambino davanti a me, a cavalcioni sul carrello, mi indica e dice “Cattivo!”. La madre lo redarguisce. “Non si fa così! Come si dice?”, “Brutto stronzo!”, “Bravo, tesoro della mamma”. La signora ringhiante vorrebbe applaudire, ma si trattiene.

A casa. Modifico ancora il progetto e alzo il palazzo di venti piani. Il grattacielo dovrà essere altissimo. Una curva esponenziale che va su, sempre più su, lontano da questa superficie infetta. Altezze alle quali il virus non potrà mai arrivare (nessun caso in Nepal). Faranno a gara per venirci a vivere. La città sarà un punticino, laggiù, un accrocchio di strade incoerenti, e la Darsena il filo marrone catarro che la lega al mare.

Devo tirarmi su. Stasera affronto un Valpolicella. Finisco sulla trasmissione di quell’eunuco di Mario Giordano. Intervista Massimo Galli, l’infettivologo, che mentre parla scuote spesso la testa, sembra compatire il suo interlocutore. Dice che il paziente zero è arrivato in Italia dalla Germania. Possibile che non l’abbiano ancora trovato? Voglio vederlo in faccia, questo paziente zero.

Finisco la bottiglia ed esco in terrazzo. È notte, ma non fa ancora freddo. Su un balcone del palazzo di fronte vedo un uomo. Agita la mano, mi saluta. Rispondo al saluto, ma lui continua ad ondeggiare quella mano. Cos’è, scemo? “Ciao, Giorgio!”, urla dalla distanza. Sta salutando il mio vicino.

Rientro in casa e mi butto sul letto.

(IL SEGUITO ALLA PROSSIMA PUNTATA – LUNEDÌ 30 MARZO)

QUI LA PUNTATA PRECEDENTE: https://www.ravennanotizie.it/cultura-spettacolo/2020/03/26/quaderni-della-quarantena-di-un-misterioso-architetto-di-nome-a-p-prima-puntata/

Immagine di copertina: Caterina MorigiQuaderni, 2015, inchiostro su carta (per gentile concessione dell’artista)

Foto interna di Sandro Veronesi

 

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Commenti

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  1. Scritto da Vittoria Dalpozzo

    Mi ritrovo in tanti comportamenti e riflessioni, eccetto il vino perchè sono astemia . E poi sono coronadomina…

  2. Scritto da Libero

    Complimenti! Un misto di ansia e ironia come penso stia accadendo a tanti di noi in questa situazione anomala. Aspetto il seguito…

  3. Scritto da Cromwell

    Troppo vino fa male.