Ravenna Festival, si conclude stasera l’omaggio a Béla Bartók nei 70 anni dalla morte

Nel Chiostro della Biblioteca Classense virtuosismi tzigani e anticipazioni stilistiche, da Liszt a Brahms, per tornare a Bartók. Si esibisce la Budapest Strings Chamber Orchestra

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Il percorso dedicato al grande Béla Bartók, a 70 anni dalla morte, si conclude con il concerto tutto ungherese, proposto dalla Budapest Strings Chamber Orchestra di giovedì 9 luglio ore 21.30 ancora al Chiostro della Biblioteca Classense.

Cinque composizioni nelle quali le influenze popolari sono evidenti e significative. Ai due estremi opere di due musicisti ungheresi di nascita, Ferenc Erkel e il suo “Palotás”; e Franz Liszt e la “Rapsodia ungherese n.2”. Al centro un musicista fatalmente attratto dal mondo magiaro come Johannes Brahms, del quale si eseguiranno due “Ungarische Tänze”, la 5 e la 6, rapsodie acrobatiche che, nella trascrizione per orchestra (gli originali sono pianistici) restituiscono agli archi lo stile dei leggendari violinisti zigani dei caffè mitteleuropei. Ma, in simmetria (appunto il secondo e il penultimo brano in programma) ecco due meraviglie appunto di Bartók, il “Divertimento per archi” e le “Danze popolari rumene” .

La musica popolare è sempre stata la linfa che ha permesso al musicista di piantare saldamente le proprie radici nel suolo della comunicazione, e di affermare la funzione al tempo stesso sociale e universale della propria arte. Ovvero il mezzo attraverso il quale la musica colta è sfuggita al pericolo di diventare un puro gioco intellettuale. Del resto, molti fra i più importanti cambiamenti stilistici della storia musicale sono partiti da una rinnovata considerazione verso le tradizioni popolari; come ha appunto ampiamente dimostrato Béla Bartók. Il programma presentato dalla Budapest Strings Chamber Orchestra declina significativamente questa realtà.

Così l’inizio è significativamente affidato a quella che per gli ungheresi è un vero e proprio simbolo nazionale, la “Palotás” di Ferenc Erkel, compositore legato al sentimento nazionale ungherese come Verdi lo è per quello italiano, che in questa pagina innalza una danza popolare (sostanzialmente una czarda) al rango aristocratico, trasformandola nella danza d’apertura dei balli della nobiltà ungherese.

D’altra parte il fascino esercitato dalla musica popolare ungherese su Johannes Brahms è indiscutibile; complice l’amicizia con il violinista magiaro Eduard Remény, che il giovane compositore accompagnava al pianoforte. Non tutte le sue 21 Danze ungheresi (le prime 10 pubblicate nel 1869, le altre nel 1880), originariamente per pianoforte a quattro mani, sono ispirate a temi folkloristici, ma anche quando scaturiscono dalla fantasia dell’autore hanno un inconfondibile sapore “ungherese”. La quinta e la sesta sono le più celebri, capolavori di straordinaria vivacità che hanno sopportato indenni decenni di trascrizioni e adattamenti.

Certamente più complesso e articolato è il rapporto di Béla Bartók con la musica folklorica, che da pioniere si occupò per molti anni di registrare e raccogliere sistematicamente con vere e proprie ricerche sul campo, per poi rielaborarla e “ricrearla” nella propria opera compositiva. Con un intento che superava i confini nazionali, tendendo verso un’ideale fratellanza dei popoli. Ne sono un esempio le “Danze popolari rumene”, originariamente concepite per pianoforte, nel 1915, e due anni dopo rivisitate per orchestra. In una versione che oltre ad appropriarsi delle intrinseche strutture melodiche popolari ricostruisce i suoni e i colori dell’espressione originale, conferendo evidenza plastica ai ritmi di danza contadina in un contesto armonico del tutto moderno. L’irregolarità ritmica derivata dallo studio della musica folklorica viene ad insinuarsi anche nel “Divertimento per archi” che Bartók compone nel 1939, pochi mesi prima dello scoppio della guerra e quindi del suo esilio volontario negli Stati Uniti.

In molte occasioni si è cercato di stabilire una correlazione fra questo brano e le vicende biografiche di Bartók, individuando nella partitura una specie di fuga ideale rispetto alla prospettiva dell’esilio, o invece un presentimento angoscioso di questo, soprattutto nel movimento centrale. In realtà il contenuto del “Divertimento” è segnato da quella tendenza purificatrice e in qualche modo neoclassica che ha progressivamente innervato la poetica di Bartók nel corso degli anni Trenta. Il termine neoclassicismo ha, in questo caso, un significato piuttosto specifico, per il richiamo palese a tecniche di scrittura barocche e classiche. Il fascino di questa partitura risiede nelle modalità secondo le quali Bartók riesce a coniugare questi criteri di scrittura con un materiale tematico costruito secondo i principi del canto popolare, ungherese e non; ma anche nella trasparenza del tessuto degli archi e nei procedimenti di inversione e combinazione delle idee musicali.

Al patrimonio zigano si rifà invece Franz Liszt nelle sue 19 Rapsodie ungheresi (composte tra il 1846 e il 1854) che egli stesso definisce «una specie di epopea nazionale della musica zigana» identificando in essa l’origine del gergo musicale ungherese, convinzione che gli valse la riprovazione della patria. La “Seconda Rapsodia, in do diesis minore”, decisamente la più celebre (utilizzata più volte sia al cinema, compreso il cartoon “Jerry pianista” della serie “Tom & Jerry”, Oscar nel 1946; che in spot pubblicitari), si ispira alle sezioni della czarda.

Info e prevendite: 0544 249244 – www.ravennafestival.org 
Biglietti: 20 euro (ridotto 18)

I giovani al festival: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni, 50% tariffe ridotte.

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