I giovani non conoscono la grammatica? L’appello dei 600 accademici e i nostri intellettuali

Ne abbiamo parlato con Patrizia Ravagli, Gianluca Dradi, Eraldo Baldini, Giuseppe Bellosi, Giorgio Pozzi e Ivan Simonini

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«Troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente. Da tempo i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare». È questo forse uno dei passi che ha suscitato più scalpore di una lettera aperta di 600 docenti universitari al Presidente del Consiglio, alla Ministra dell’Istruzione e al Parlamento italiano, promossa dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità. Un “grido di dolore” e una richiesta d’aiuto che nelle scorse settimane ha innescato un vivace dibattito.

 

In realtà quello sollevato dal “gruppo dei 600” non è un problema di oggi e non riguarda solo le giovani generazioni. Basta farsi un giro sui “social” per capire che il funerale dei congiuntivi è stato celebrato già un po’ di anni fa e lo stesso vale per buona parte delle regole della sintassi, della grammatica e per l’ortografia.

Fatto sta che l’appello dei 600 docenti ha trovato sostenitori, ma qualcuno ha anche preso le distanze. Sull’onda del dibattito che è scaturito a livello nazionale e tuttora in corso, anche Ravennanotizie.it ha voluto raccogliere in sede locale alcune opinioni.

 

 

LA PAROLA ALLA PRESIDE DEL CLASSICO, PATRIZIA RAVAGLI

Il nostro “viaggio” inizia nell’ufficio della Preside del Liceo Classico Dante Alighieri, Patrizia Ravagli: “Professoressa, il problema sollevato dai 600 accademici non è nuovo”.

“Più che altro – esordisce – mi sembra un problema un po’ fuori dal tempo. Non possiamo pensare che i giovani di oggi siano anche solo come i giovani di 10 anni fa. Il modo di comunicare è cambiato ed è cambiato per tutti, non solo per loro. Oggi si utilizzano i social network, WhatsApp, messenger, passiamo molto tempo su internet. Fra le competenze che hanno oggi i ragazzi ce ne sono di nuove, alcune di quelle, per così dire tradizionali non ci sono più. Credo che si debba fare un ragionamento più approfondito. Il Liceo Classico è sicuramente un osservatorio privilegiato e abbiamo una cura particolare per la lingua, per la comunicazione”.

 

Quanto del nostro patrimonio linguistico viene sacrificato sull’altare di una comunicazione veloce?

“Troppo spesso i ragazzi vengono lasciati soli ad utilizzare questi strumenti. Il nostro istituto ha aderito al progetto Educare digitale della cooperativa Il Cerchio e di Formadillo perché non solo è fondamentale utilizzare correttamente questi strumenti ma occorre anche fare capire ai ragazzi che quello è solo un modo di comunicare, non il modo di comunicare e che le relazioni con le persone vere, nella vita reale, vanno coltivate, non solo con messaggi spot”.

 

Chi ha qualche anno più, ha vissuto una scuola dove c’era un’attenzione fortissima alla grammatica, alla sintassi, all’ortografia, all’analisi logica. Nella scuola di oggi c’è ancora questa attenzione oppure no?

“Questa attenzione – assicura Patrizia Ravagli – c’è ancora, ma questo non deve diventare un’ossessione secondo me. Sicuramente le regole della grammatica, della sintassi, l’analisi logica vanno imparate: se tu non conosci queste regole non puoi neppure affrontare lo studio delle lingue straniere o di quelle antiche, come il greco e il latino. Su questo sono d’accordo con i sottoscrittori del documento. Quando però nel documento si dice che i ragazzi faticano ad esprimersi o addirittura faticano a comprendere un testo… beh, gli studenti che escono da questa scuola i testi li comprendono, ci mancherebbe altro. Comunque anche la lingua si evolve: non dobbiamo farne una battaglia di principio, dobbiamo capire quello che è veramente importante per i ragazzi”.

 

 

… E AL PRESIDE DELLO SCIENTIFICO, GIANLUCA DRADI

La nostra seconda tappa è il Liceo Scientifico Oriani. Il Preside Gianluca Dradi, si dichiara “un po’ perplesso rispetto alla polemica innescata dall’appello dei docenti universitari. “Nel senso – spiega – che la questione delle competenze nella comunicazione scritta e di lettura accompagna il sistema scolastico da sempre, quindi si tratta di un tema non particolarmente nuovo. Faccio presente – aggiunge Dradi – che le indagini internazionali dell’Ocse Pisa (Pisa è l’acronimo di Programme for International Student Assessment, Programma per la valutazione internazionale dell’allievo, ndr) nel comparare competenze non tanto di scrittura quanto di comprensione di testi scritti dei quindicenni italiani evidenziano come questi ultimi siano leggermente al di sotto dei loro coetanei dei paesi Ocse. Ma questo già da alcuni anni, non è quindi una novità”.

 

Ma la perplessità del preside dell’istituto Oriani riguarda anche un altro aspetto: “All’università di Bologna, per esempio, hanno deciso di abolire la redazione delle tesi per le lauree brevi, quelle triennali. In sostanza: si afferma che i giovani non hanno capacità di scrittura, ma poi l’Università non li fa esercitare attraverso l’elaborazione di un testo scritto complesso come è una tesi di laurea. – dice Dradi – Così come sono stati di molto ridotti gli esami orali. Oggi la maggior parte degli studenti anziché sostenere, appunto, l’esame orale nel quale ovviamente ha la possibilità di esercitare la sua capacità di argomentazione, sostiene una serie di esami parziali basati su test, sui quali basta semplicemente mettere una crocetta su una casella. Allora trovo abbastanza bizzarro che da un lato questi docenti universitari si lamentino delle scarse capacità degli studenti e dall’altro loro stessi non svolgano il compito di irrobustire le competenze di espressione scritta ed orale. Al tempo stesso però concordo che queste competenze siano fondamentali e debbano essere acquisite dagli studenti”.

 

Competenze fondamentali anche per un istituto ad indirizzo scientifico.

“Certo, e noi a questa competenza – dice il Preside Dradi – dedichiamo attenzione. Mi riferisco ad alcuni progetti che abbiamo realizzato. Innanzitutto un progetto di formazione dei docenti che abbiamo svolto l’anno scorso con la Fondazione Golinelli, dedicato al ruolo della lingua nell’apprendimento della matematica perché, in effetti, una scarsa comprensione del testo influisce sull’esito delle prove scientifiche. Il corso ha fatto lavorare insieme gli insegnanti di matematica e scienze con quelli di lettere del primo biennio, per individuare percorsi didattici interdisciplinari legati all’analisi lessicale, sintattica e semantica dei testi scientifici. Le competenze di lettura e scrittura degli studenti costituiscono infatti un obiettivo trasversale a tutte le discipline. Poi abbiamo alcuni progetti tipo “GialloLuna NeroNotte” come invito alla lettura ma anche alla scrittura di romanzi gialli. Abbiamo fatto cinque lezioni con le seconde e le terze con laboratori di scrittura.”

 

“Stiamo svolgendo con una classe quarta un’esperienza di alternanza scuola-lavoro che si chiama “Tessere d’inchiostro” in collaborazione con “Scrittura Festival” dove gli studenti incontrano i vari ospiti della rassegna e rielaborano questi incontri che vengono pubblicati sul sito internet della nostra scuola nella sezione denominata appunto “Tessere d’inchiostro”. Anche questo – prosegue Dradi – è un modo per abituare i ragazzi a scrivere. Così come ormai da quattro anni a questa parte svolgiamo un progetto extracurricolare legato all’argomentazione, rivolto al triennio delle classi superiori. Si tratta di una serie di incontri: i primi quattro teorici, dedicati allo studio delle regole della logica, delle figure argomentative e della retorica, cui seguono quattro o cinque laboratori in cui gli studenti vengono abituati a discutere una tesi argomentandola. Quest’anno, ad esempio, abbiamo svolto il progetto in collaborazione con il servizio bibliotecario del Campus universitario di Ravenna e l’argomento finale del dibattito pubblico, che si è svolto qualche settimana fa, era: ‘Print versus digital’, sulla tematica dei diversi stili cognitivi che seguono una lettura sul cartaceo o sul digitale. Concludendo: il tema individuato dai docenti universitari è un problema vero, ma che si sia aggravato in modo significativo in questi ultimi anni mi lascia più perplesso”.

 

Di certo la capacità di scrittura è già da un po’ che soffre.

“Sì il problema esiste, – ammette il Preside dello Scientifico – ma esiste da sempre. Nelle verifiche scritte d’italiano, così come per altro accade anche all’esame di maturità, è scomparso quello che era il classico tema. Oggi prevale la tipologia del saggio breve, argomentativo, fondato su una serie di materiali che vengono forniti agli studenti. Qualcuno pensa che questo non aiuti a sviluppare la capacità di scrittura; io credo che questa tipologia di verifica sia un passo avanti rispetto al tradizionale tema soprattutto perché dovrebbe essere d’aiuto nello sviluppare la capacità argomentativa dei ragazzi. Ma riconosco che talvolta, lo dico anche sulla base della mia esperienza come presidente di commissione d’esame di maturità, gli studenti manifestino una capacità di rielaborazione modesta, non utilizzando il materiale come spunto per un’autonoma argomentazione, limitandosi a fare la parafrasi dei testi forniti. Ovviamente questa è una difficoltà che si nota, ma appunto non è nuova e deve impegnare tutti i cicli di scuola, dalle elementari all’Università, ad affrontare il problema ”.

 

 

ERALDO BALDINI: “IN RETE SI USA UN LINGUAGGIO IMPOVERITO”

L’appello dei 600 docenti ha fatto capolino anche in un post su Facebook dello scrittore ravennate Eraldo Baldini.

“L’ho scritto – ci spiega al telefono  – partendo dalle mie impressioni su quello che si legge sui social media. Certo Fb non è il luogo dove si scrivono i poemi, ma il linguaggio utilizzato da molti nella rete appare impoverito, per usare un eufemismo”.

 

In questo post, lei sottolineava anche il dato della diminuzione costante di chi legge libri.

“Dal 2010 a oggi, cioè in poco più di sei anni, – ricorda Baldini – in Italia si sono persi tre milioni di lettori. La percentuale di chi non legge neppure un libro all’anno viaggia ormai ben al di sopra del 60 per cento, e nel 40 per cento (o meno) che resta prevale chi legge solo un libro all’anno. Se non leggi rischi di perdere l’alfabetismo di base e il tuo vocabolario si impoverisce”.

 

In rete – prosegue – ci esprimiamo con un linguaggio scritto che di fatto è il nostro linguaggio parlato. Non ci prendiamo il tempo di variare una parola, di utilizzare un sinonimo. Nella rete la velocità è importante. È chiaro invece che un libro non si può leggere nello stesso tempo di un sms. Io vengo spesso invitato nelle scuole e quando parlo di un libro una delle domande che mi fanno più spesso i ragazzi è: ‘È corto?’ Come se la lettura di un libro fosse una fatica immane da affrontare”.

 

Insomma: si legge di meno quindi si scrive peggio.

“In realtà – risponde Baldini – non è così facile trovare la diretta conseguenza fra causa ed effetto. Bisognerebbe vedere se anche quello del cosiddetto ‘analfabetismo di ritorno’ sia un fenomeno che riguarda solo l’Italia o anche altri paesi. Certo che se riguardasse solo l’Italia dovremmo andare a vedere il ruolo della scuola. Oggi non solo si legge ma si scrive anche meno. Quando andavo a scuola io si scriveva tutti i giorni: ci facevano fare riassunti, temi, il dettato che può apparire qualcosa di antiquato ma che ti aiutava a maneggiare la grammatica”.

 

 

GIUSEPPE BELLOSI: “L’EDUCAZIONE LINGUISTICA RICHIEDE TEMPI LENTI E ATTENZIONE COSTANTE”

Giuseppe Bellosi, etnologo, glottologo, poeta e scrittore, nonché socio della Società di Linguistica Italiana ha una sua teoria che coinvolge anche la famiglia.

“Le carenze linguistiche denunciate dai docenti universitari, riguardanti studenti che dovrebbero avere una competenza linguistica superiore alla media, sono il frutto anzitutto dell’incapacità di molti genitori di insegnare un italiano corretto. Se l’esercizio della lingua non può essere effettuato in famiglia e negli ambienti che si frequentano, allora dovrebbe essere la scuola il luogo in cui si formano e si esercitano le competenze linguistiche. Purtroppo – prosegue Bellosi – la scuola primaria e quella secondaria inferiore, alle quali spetterebbe il compito di dare le basi linguistiche ai ragazzi, fanno uso, a quanto pare, di procedure didattiche inadeguate. L’educazione linguistica richiede tempi lenti (il tempo di elaborare un pensiero e imparare a esprimerlo in forma scritta o orale) e attenzione costante: i ritmi frettolosi e le attività dispersive sono i suoi peggiori nemici”.

 

 

L’EDITORE GIORGIO POZZI: “IL LIBRO RIMANE UNO STRUMENTO DI CONOSCENZA”

Per Giorgio Pozzi della casa editrice Fernandel, il problema sollevato dai 600 docenti universitari esiste, eccome, e “l’innalzamento del livello di ignoranza” del nostro Paese si può percepire anche dall’osservatorio di una casa editrice. Fernandel pubblica esclusivamente narrativa. Molti dei suoi autori sono già affermati, ma come accade per tutte le case editrici c’è anche una schiera, più o meno folta, di aspiranti scrittori che invia il proprio manoscritto con la speranza di vederlo pubblicato.

“Negli ultimi dieci anni – dice a questo proposito Pozzi – la qualità media di questi manoscritti è calata. Non solo per quanto riguarda la forma (gli errori di grammatica e di ortografia sono sempre più diffusi), ma anche i contenuti che sono “appiattiti sul modello della fiction televisiva. L’appello dei 600 docenti lo condivido. Il docente universitario però è l’ultimo anello di una catena che ha dal capo opposto il maestro elementare”.

 

Il fatto che oggi viviamo nell’era della comunicazione veloce c’entra qualcosa con tutto questo?

“Il tema della velocità è ormai diventato una giustificazione per tutto. Io penso ci sia una corresponsabilità di tutta l’istituzione scolastica. Una volta alle elementari si insegnava a leggere, a scrivere e far di conto. Non so cosa venga insegnato adesso, sicuramente delle cose che si ritengono più importanti. Purtroppo stiamo creando delle generazioni di ignoranti. Io faccio parte di una generazione – aggiunge Pozzi – che attraverso la lettura dei libri ha imparato a conoscere il mondo, a conoscere e a sviluppare una consapevolezza di sé. Per noi di quella generazione il libro rimane la fonte della conoscenza, del resto non possiamo lasciare tutto questo solo in mano ai tablet o alla navigazione in rete”.

 

Pozzi racconta di aver letto sul settimanale “L’Espresso” qualche giorno dopo l’ “appello dei 600” il contributo di un altro docente universitario che scriveva in sostanza di essere quasi costretto a promuovere anche quegli studenti che rivelavano una scarsa conoscenza della grammatica e sintassi perché comunque se li avesse bocciati si sarebbero rivolti ad un altro insegnante.

“Ognuno – dice – deve assumersi le sue responsabilità. Invece nel mondo della scuola c’è la tendenza ad una sorta di fatalismo, a scaricare sugli altri le proprie responsabilità”.

 

 

IVAN SIMONINI: “ANCHE QUEI SEICENTO ACCADEMICI  DOVREBBERO FARE AUTOCRITICA”

Ivan Simonini, Presidente delle edizioni del Girasole si distingue spesso per l’originalità del suo pensiero e per essere anche un po’ un provocatore.

“L’attività didattica di un docente più sali, dalle elementari alle medie alle superiori fino all’università, da un lato diventa più semplice e dall’altro più complessa. È più complessa la materia che devi trasmettere, è più semplice la metodologia di trasmissione perché ti trovi non una persona già plasmata davanti e, nello stesso tempo, rispetto a quella persona hai molto più potere di quello che ha un maestro o un insegnante di scuola media. Per cui la verità è che è molto più difficile insegnare alle elementari e alle medie che all’università. Io non so se questi docenti che colgono un punto nevralgico di questa situazione si rendano conto che si tirano un po’ la zappa sui piedi. Perché chi li forma i docenti delle elementari e delle medie se non le università? Quindi mi appare molto strano che non siano consequenziali e non si facciano l’autocritica individuando quelle che sono le loro lacune e i lori demeriti, che come loro stessi dicono, evidentemente sono enormi”.

 

In alcuni degli interventi seguiti all’appello dei 600 accademici c’è chi ha rilevato che il libro ha perso la sua centralità.

“Anche quando era l’elemento centrale – afferma Simonini – il libro era utilizzato piuttosto poco. Credo che internet e la digitalizzazione non si possano considerare nemici del libro. Tant’è vero che ci sono aziende che prosperano con la vendita dei libri di carta su internet, come  Amazon che fa un sacco di soldi vendendo libri su internet. La digitalizzazione di per sé non è nemica dell’esperienza cartacea. È vero che l’esperienza del libro è sempre meno importante di altre esperienze per i giovani. Però se devo dire quello che penso veramente è perché la qualità dei libri che vengono prodotti è nettamente calata. Faccio un esempio. Il libro su Dante più venduto negli ultimi sei anni è ‘La Divina commedia in italiano d’oggi’. Il libro in realtà individua un tema vero: rispetto all’italiano nascente di Dante il nostro italiano di oggi è talmente cambiato che molte cose della Divina Commedia facciamo fatica a capirle. Quindi il problema esiste: questo libro l’ha risolto, a mio parere, nel peggiore dei modi. Cos’hanno fatto? Gli autori, che sono due filologi, hanno tradotto la Divina Commedia sì in un italiano d’oggi ma in un italiano prosastico, non ci sono gli endecasillabi, non ci sono le rime, non ci sono le terzine incatenate.”

 

“Ora questo libro sta vendendo. Perché? – si chiede e conclude Simonini – Perché lo comprano i professori. Perché i professori d’italiano la Divina Commedia o non l’hanno letta, o non la comprendono. Per cui agli studenti non verrà trasmesso nulla di Dante ma solo quello che i traduttori hanno ritenuto di proporre. Anche per un cultore del libro come sono io, se questo è il libro io ne posso anche fare a meno”.

 

A cura di Ro. Em.

 

 

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