Mamma “cubista” di Ravenna racconta a Rai1 la sua storia: “Contro gli stereotipi, la mia è arte”

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Mamma di giorno e cubista di notte. È questa la curiosa storia che Emily Zanussi, romana di origine, ma trapiantata a Ravenna da quando era adolescente, racconta alle telecamere di Rai 1 oggi, mercoledì 17 ottobre alle 14.20, intervistata da Caterina Balivo all’interno del format pomeridiano Vieni da me.

28 anni, capelli lunghi e fluenti e un corpo da modella, Emily è decisamente una bellissima giovane donna. Ma incontrandola la mattina, magari senza trucco, avvolta in una maximaglia, con le snikers ai piedi, mentre accompagna la sua bimba a scuola, finisce per confondersi tra la folla di decine e decine di genitori con vite più ordinarie, che dopo l’ultimo bacio ai pargoli scattano in ufficio.


Emily con la sua bambina al mare

Lei no, di giorno non lavora e il suo tempo è tutto per se stessa e per sua figlia, una bambina di otto anni che frequenta la terza elementare. Al pomeriggio ha così modo di seguirla nei compiti o nelle attività extrascolastiche, per accompagnarla dalle amichette o al parco. Tutto senza stress.

“Lavorare di notte – spiega Emily – ha i suoi vantaggi: si guadagna bene, in media 150 euro a serata e mi lascia tanto tempo per stare con mia figlia. Lavorando un paio di sere a settimana guadagno quanto in un mese con un lavoro full time. Non è solo per questo che lo faccio però: seguo la mia passione, la discoteca è casa mia. Ballare è il mio modo di esprimermi. Poter trasformare la propria passione in lavoro non è forse il sogno di tutti? Io sono pagata per divertirmi, lo considero un onore”.


Emily al Samsara di Riccione

E le discoteche di mezza Italia, Emily le conosce tutte, dalla Toscana alla Puglia, in ognuna ha ballato, per non parlare di quelle romagnole: “Da Bologna a Rimini sono stata ovunque: Villa Papete, Peter Pan, qui vicino al Matilda o al Bbk. Io e le mie colleghe balliamo sul cubo, di solito dall’1 alle 4 di notte. Ci si alterna con i turni”.

Questa vita non è quella che Emily ha sempre vissuto. Originaria di Roma, si è trasferita a Ravenna a 15 anni, assieme alla mamma e alla sorella che vivono ancora qui. Dopo il diploma in ragioneria, è andata a lavorare subito come impiegata amministrativa nella concessionaria del marito, che ha conosciuto a 17 anni, al quale è stata legata fino a 5 anni fa e dal quale, nel 2010, ha avuto una bambina. Poi la fine della storia d’amore, la separazione e la trasformazione.

I tuoi genitori, la tua famiglia e tua figlia, come hanno preso la cosa?

La mia famiglia non mi ha mai messo i bastoni fra le ruote, hanno sempre voluto che io facessi ciò che mi piaceva di più. Solo mio padre tutt’ora non è molto convinto della mia scelta, dice che non è un lavoro serio e che potrei fare di meglio, che gli orari non combaciano con il fatto di avere una figlia. Ma non mi hanno mai giudicata, hanno una mentalità molto aperta.

Mia figlia sa bene qual è il mio lavoro ed è contenta. Quando mi è capitato di lavorare di pomeriggio, come in orario aperitivo al Tora Kiki di Lido di Classe, è venuta anche con me. Quando lavoro di notte, se lei è affidata a me, sta con mia sorella. Altrimenti è con il papà.

E le altre mamme? Ti senti giudicata da loro?

Diciamo che mi capita di raccontare del mio lavoro a mamme che già conosco bene, non lo dico a tutti perché so i limiti delle persone e li rispetto. Quando mia figlia andava alla materna ricordo dei comportamenti “strani” di alcune altre mamme. Per esempio, quando passavo si davano di gomito. Una volta ne ho beccato un gruppetto che parlavano di me, guardando le mie foto su facebook. Ma per me non è mai stato un particolare disagio perché so come la pensano e, ripeto, rispetto le loro idee.

A volte mi estraneo anche perché so che avere vicino una persona così aperta, che fa un lavoro come il mio, chiamiamola emancipata, come me, può mettere a disagio. Quindi sono io la prima che, per non mettere a disagio gli altri, tiene le distanze.

Com’è l’ambiente della discoteca, pericoloso per una bella donna, così appariscente?

Io in discoteca sono nel mio ambiente. A parte qualche pacca sul sedere, non ho mai ricevuto avance eccessive. Credo che le ballerine in discoteca siano quelle più “al sicuro”: ci guardano e basta. Noi facciamo il tragitto camerino-cubo e ritorno, non abbiamo problemi nell’approccio con i clienti della discoteca. Siamo viste come delle dee, irraggiungibili.

Forse può suonare strano sentir parlare di emancipazione femminile dall’alto di un cubo quando, secondo i cliché, la ballerina della discoteca è identificata con la “donna oggetto”, ma Emily ha le idee chiare in proposito e spiega come la pensa: “Io mi sento emancipata perché vado contro gli stereotipi e non rispetto le norme comuni della società. Io faccio il mio lavoro come lo fa un’artista, ballando esprimo la mia arte. Quando si va in un museo si guarda un quadro, in discoteca si guardano le donne che ballano. Io sono fatta per stare lì, a ballare. Il prezzo da pagare è un po’ di disapprovazione sociale. Va benissimo, lo accetto, in questo senso mi sento emancipata”.

 

Claudia Folli

 

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