Osborne alla rassegna “Il tempo ritrovato” racconta la sua storia di immigrazione all’incontrario

Tanto pubblico alla sala Muratori della Classense di Ravenna per ascoltare l'autore inglese noto ai lettori per i suoi libri di viaggi

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Lo scrittore e giornalista inglese Lawrence Osborne ha vissuto diverse vite in svariati luoghi del mondo: Parigi, New York, Istanbul, Messico. Adesso da qualche tempo si è fermato a Bangkok. Con il suo quarto romanzo, il primo tradotto in Italia, “Cacciatori nel buio”, edito da Adelphi, ha inaugurato martedì pomeriggio, a Ravenna, “Il tempo ritrovato”. Nell’occasione il ciclo di incontri con gli autori a cura dell’associazione “Onnivoro” ha ritrovato lo zoccolo duro del suo pubblico affezionato che ha affollato la nuova location: la sala Muratori della Biblioteca Classense.

L’ora di conversazione fra l’autore e il curatore della rassegna Matteo Cavezzali mediata dalla bravissima traduttrice, è volata in fretta, gettando uno sguardo inconsueto su paesaggi esotici, spacchettati dagli involucri ad uso e consumo di un turismo spesso finto e patinato. Ma nel corso dell’incontro che ha avuto parecchi momenti di divertimento, si è parlato anche di fantasmi, di doppie identità, di certificati di morte falsi creati ad hoc da funzionari corrotti e compiacenti per truffare le assicurazioni.

Nonostante venga considerato uno dei più importanti scrittori di viaggi, “Cacciatori nel buio”, come tiene a precisare lo stesso Osborne, non è un reportage, ma racconta una storia. La storia di Robert, un giovane insegnante inglese in vacanza che, in seguito ad una vincita insperata al casinò, decide di non tornare al grigiore del Sussex e di rimanere in Cambogia, come barang (straniero). Una sorta di “migrazione all’incontrario” annota Matteo Cavezzali, da un paese ricco verso un paese povero. Insomma: una cosa molto diversa da quello che avviene ogni giorno anche in Italia dove centinaia di migranti approdano sulle nostre coste affrontando viaggi in condizioni disperate nella speranza di un futuro migliore.

Un fenomeno tutt’altro che inconsueto per lo scrittore inglese secondo il quale adesso la migrazione avviene nei due sensi anche perché il mondo occidentale, dice, “è arrivato ad un punto di saturazione, di blocco”. Per di più  Robert, il protagonista del suo romanzo appunto,  ha 28 anni ed è “un millennial, fa parte di quella generazione destinata ad essere più povera dei propri genitori”.

“Cacciatori nel buio” si apre al confine fra la Cambogia e la Thailandia, perché “l’idea di confine è sempre affascinante e io volevo un inizio molto forte. Mi piaceva – racconta l’autore – fare scendere il protagonista dalla macchina e fargli percorrere quel tratto di terra di nessuno”.

Quel confine, sottolinea Osborne, “è il più intenso del mondo, è come fare un grande passo indietro, tornare agli anni Settanta”.

Cavezzali sottolinea lo spaesamento dei vari personaggi presenti nel libro causato dall’incontro di mondi diversi, dal permanere di superstizioni e credenze difficili da digerire, almeno per una buona parte degli occidentali. L’osservazione fornisce l’occasione per un gustoso aneddoto. A Bangkok anche le persone più istruite credono ai fantasmi.

Osborne racconta allora di due contadini che spesso quando tornavano casa alla sera magari un po’ ubriachi, trovavano qualcuno dormire nel giardino. Questi due contadini il mattino dopo gli chiedevano: “li hai visti?” riferendosi ai fantasmi di una vecchia coppia di anziani morti di tubercolosi nel 1942.

Senza contare che Osborne  ha pure un certificato falso ovviamente, che sancisce la sua morte appeso al muro del suo ufficio. Lui giustifica questa curiosa circostanza più o meno così. Innanzitutto, spiega, è una prassi abbastanza comune in Cambogia per gli occidentali ricorrere ad un falso certificato di morte per intascare i soldi dell’assicurazione: basta un cadavere di un bianco all’obitorio e l’unica cosa che deve combaciare con la persona che deve risultare morta è l’altezza.

Una volta lo scrittore viene inviato da un giornale a Bangkok per incontrare un esperto di certificati falsi per fare appunto un’inchiesta sull’argomento. Ma il famoso esperto, al quale ammette Osborne, “risultai antipatico” a sua volta lo rinvia ad un altro personaggio con analoghe abilità a Manila. “Dopo qualche giorno il mio certificato di morte arrivò a cavallo di una moto e adesso si trova affisso al muro del mio ufficio”: fine della storia.

E poi il tema del linguaggio che ha una parte importante in “Cacciatori nel buio”.

“Quando si vive in un paese per lungo tempo si acquisisce una consapevolezza linguistica diversa e abitando in un condominio abitato in maggioranza da thailandesi, ormai parlo più spesso il thai dell’inglese. Del resto – prosegue –  la lingua è una cosa veramente strana. Sto imparando il giapponese perché mio figlio sta per sposarsi con una ragazza di quel paese e quando parlo in quella lingua la voce mi si abbassa e parlo come un samurai” dice Osborne provocando ilarità.

Comunque tiene a precisare l’autore, “Cacciatori nel buio” è di qualche anno fa e la situazione in “Thailandia è molto complessa. In questo paese il sistema politico è folle: il re ha appena nominato il suo barboncino comandante delle forze armate e anche il comandante dell’aviazione deve inchinarsi a questo comandante assoluto”.

Visto che ci sono produttori interessati a fare una trasposizione cinematografica di alcuni dei suoi libri una domanda riguarda il rapporto fra Osborne e il cinema. “Adoro il cinema – ammette l’autore – e i miei libri sono in parte influenzati da questa passione, anche se non sono stati scritti con modalità cinematografiche: cinema e letteratura hanno modalità di scrittura diverse”.

La parola passa infine al pubblico per le domande di rito che però non arrivano e quindi a porre l’ultima domanda, prima del firma copie, è ancora Cavezzali: “Visto che siamo in una biblioteca che libro consiglieresti?”.

Osborne tentenna qualche istante, poi il consiglio arriva: “Paul Bowles, ‘Il te nel deserto’ un libro meraviglioso, che mi è molto caro”.

Ro. Em.

 

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