Matteo Renzi, il perdente di successo, si prende la platea e sferza i vertici nazionali del Pd

Un discorso da leader orgoglioso e "vincente". Un discorso con cui ha sfidato tutti, fuori e soprattutto dentro il Pd, a fare i conti con lui

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Aveva detto che avrebbe parlato alla Festa Nazionale di Ravenna. E così ha fatto, Matteo Renzi, davanti a un grande pubblico, ancora più numeroso e caldo di quello accorso ad applaudire Pepe Mujica. Un pubblico quasi osannante, con il quale Renzi ha scherzato e giocato, quasi fosse un consumato uomo di spettacolo. E infatti più che un comizio politico il suo è stato un one man show con tanto di slide #instacomizio. Ha parlato da leader carismatico, Matteo Renzi, come fosse ancora capo del partito e del governo. Come se non ci fosse mai stato il 4 marzo 2018.

Eppure quella data fatidica c’è stata. Lui l’ha liquidata con poche battute all’inizio e poi ha aggiunto con una certa disinvoltura che chi vuole sapere cosa pensa lui delle ragioni della sconfitta deve andarsele a leggere su Facebook. Perchè lui è venuto alla Festa dell’Unità “per risollevare il partito” tramortito, avvilito, deluso. Quasi fosse un novello Gesù Cristo che dice a Lazzaro: alzati e cammina. 

“Basta autonalisi. Basta piangersi addosso. Iniziamo a fare opposizione a questo governo. Facciamoci sentire” ha detto e quasi urlato. E giù un applauso scrosciante. Poi ha mostrato il trailer della sua trasmissione tv parlando dell’Italia come del paese della bellezza, facendo vedere gli Uffzi. E questa Italia della bellezza l’ha messa in relazione e in contrapposizione con la brutta Italia di cui si sta parlando in questi utimi tempi. Come se ci fosse una bella Italia, la sua. E una brutta Italia, quella degli altri.

Chi sono gli altri, è presto detto. La Lega e i Cinque Stelle, naturalmente. Quelli che le elezioni le hanno vinte e che ora governano.

Durissimo Matteo Renzi su Matteo Salvini: lo ha attaccato sui migranti e sulla vicenda della nave Diciotti. Lo ha invitato ad andare di meno a Cervia e ad andare di più in Libia a fare il suo lavoro come faceva Minniti. E lo ha attaccato sui 49 milioni che la Lega deve restituire – la Lega che ha definto ladrona – con sentenza oggi confermata. Dice Salvini che non li ha e che però ha gli Italiani con lui. Ma quella è una sentenza, gli ha ricordato Renzi. E ha chiuso dicendo che “quando c’è un ministro della Repubblica che non vuole rispettare le sentenze e non vuole restituire i soldi, è in gioco la tenuta democratica del paese”, chiamando quindi il Pd alla battaglia e alla vigilanza democratica.

Ma sono soprattutto i Cinque Stelle il bersaglio preferito di Renzi. “Dicono che sono il Governo del cambiamento. Infatti, cambiano idea ogni giorno.” E poi ha citato la vicenda dei vaccini e quella dell’Ilva, quando prima i Cinque Stelle volevano chiudere l’impianto e ora invece hanno fatto fare l’accordo fra le parti, proprio oggi, accordo che lui peraltro giudica positivo.

È sferzante, irridente, e va giù pesante sui Cinque Stelle. Dice: “Il Movimento Cinque Stella ha una classe dirigente di scappati di casa.” E poi li chiama uno per uno. Toninelli, che definisce bugiardo. La Lezzi. Sibilia. Di Stefano, quello che voleva trattare con l’Isis. Bonafede. Giarrusso, quello delle Iene. Ne ha per tutti. Anche per Conte, il premier che non va nemmeno al primo Consiglio dei Ministri.

 

 

 

E poi naturalmente Renzi parla del Pd, tirandosi fuori dalla battaglia per la leadership. Dice: “non sono candidato, ma mi impegnerò il doppio di prima” perchè il Pd faccia opposizione, drizzi la schiena e rimetta in piedi questo paese. E quando dice così – nell’ovazione del pubblico – capisci che Matteo Renzi non sarà candidato per la segreteria, ma sarà certamente della partita e tutti dovranno fare i conti con lui se vorranno vincere il congresso e governare il futuro Pd.

Lui dice che darà una mano e non farà problemi. Ma da come lo dice si capisce che la mano la darà alle sue condizioni e, infatti, subito dopo sferza tutti quelli che si affannano a parlare degli errori e delle ragioni della sconfitta. Tutte quelle cose che a lui – principale indiziato – danno molto fastidio. Invita tutti piuttosto a darsi da fare per una “battaglia di resistenza civile, politica e culturale all’ignoranza, alla superficialità, al qualunquismo e all’incompetenza di questo governo”, altro che stare a parlare delle correnti, delle strategie e delle alleanze del Pd.

E infatti di alleanze non parla affatto Matteo Renzi. Ma preme e insiste perchè il congresso si faccia subito: la patea si accalora e in coro intona con-gres-so, con-gres-so. Lui aggiunge che tutto il Pd lo deve fare, che bisogna stare tutti insieme, “non come quando ha vinto lui due volte ed è subito partito il fuoco amico”. E giù un’altra salva di applausi. “Avete sbagliato bersaglio – dice parlando agli avversari interni – avete sbagliato Matteo. Era l’altro il Matteo che dovevate combattere.”

Insomma è stato un discorso da leader orgoglioso e “vincente”, che solo per un accidente della storia avrebbe bocciato. Un discorso con cui ha sfidato tutti – fuori e soprattutto dentro il Pd – a fare i conti con lui. Un discorso-sfida da novello Prometeo che si pone al centro del mondo. Un discorso-show ancora una volta da uomo solo al comando, di quelli a cui ci aveva abituati quando era a Palazzo Chigi. Anche se adesso è solo il Senatore di Scandicci. Solo? Non proprio. Perchè il popolo Pd – quello che stasera era alla festa di Ravenna – è ancora ai suoi piedi. E dunque mentre gli altri dirigenti nazionali – a partire dal povero Martina – si affannano a cercare di trovare il bandolo della matassa per uscire dalle secche di questo momento terribile, ecco che arriva lui con la sua presenza ingombrante e il suo ego ipertrofico a galvanizzare un bel pezzo di popolo. Ma anche a mettere in imbarazzo l’altro pezzo.

 

A cura di P. G. C. 

 

 

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