Libertà civile sino al fine vita. Nevio Salimbeni, +Europa: “Bene la delibera della Regione E-R, ora ci battiamo per una legge nazionale”

La Regione Emilia-Romagna ha recentemente completato il percorso per l’applicazione della sentenza numero 242 del 2019 della Corte Costituzionale, affinché possa essere garantito al malato il diritto di congedarsi dalla vita, nel rispetto della sua volontà, autodeterminazione e del suo concetto di dignità. Nel rispetto, va sottolineato, dei criteri definiti dall’Alta Corte. La Regione Emilia-Romagna – si legge sul sito ufficiale dell’Ente – ha completato il percorso per l’applicazione della sentenza con due atti: uno della Giunta regionale, che ha istituito il Comitato regionale per l’etica nella clinica (COREC) e un altro che comprende le istruzioni tecnico-operative inviate dall’Assessorato alle Politiche per la salute alle Aziende sanitarie, linee guida con le indicazioni operative per la gestione delle richieste di suicidio medicalmente assistito (SMA).

Tra i compiti del COREC troviamo la consulenza etica su singoli casi, l’espressione di pareri non vincolanti relativi a richieste di suicidio medicalmente assistito e agli aspetti bioetici connessi alle attività sanitaria e socio-sanitaria. Quanto al suicidio medicalmente assistito SMA, le linee guida vanno dal ricevimento della richiesta del paziente e procedono per tutto il percorso, attraverso l’istituzione di apposite Commissioni di valutazione di Area Vasta.

La Regione E-R ha specificato che i criteri indicati dall’Alta Corte per evitare abusi e arbitri sono tassativi: “il paziente deve essere affetto da una patologia irreversibile, da cui derivino sofferenze fisiche o psicologiche che il paziente ritiene intollerabili, che sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. La Consulta ha stabilito inoltre che, in attesa dell’intervento legislativo nazionale, la valutazione della sussistenza di tali criteri e le modalità di applicazione della sentenza debbano essere affidate a strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale, sentito il parere del Comitato etico territorialmente competente”.

Coordinatore di +Europa a Ravenna, Nevio Salimbeni è da sempre molto attento alle delicatissime tematiche del suicidio assistito e del fine vita, avendo la sua lista perorato anche la causa dell’associazione Luca Coscioni che si batte per la libertà civile sino anche al fine vita.

L’INTERVISTA

Iniziamo facendo chiarezza su quattro termini che spesso tengono banco, ma verso i quali sembra esserci confusione. Mi riferisco a fine vita, eutanasia, suicidio assistito e cure palliative…

“In alcuni casi vengono usati nomi diversi per esprimere la stessa cosa. Ciò che va chiarito è che non sono termini in opposizione tra loro. Le cure e i trattamenti di fine vita in Italia sono consentiti solo in casi eccezionali e ottengono il via libera solamente quando viene stabilito dagli organi competenti che la malattia del paziente è in stato irreversibile. Con suicidio assistito ci si riferisce a casi dove una persona non può compiere da sola la scelta e quindi può essere assistita nella fine della sua vita. Le norme in Europa sono differenti nazione per nazione sia per il fine vita che per il suicidio assistito. L’eutanasia è una scelta differente e significa che il singolo individuo sceglie di non vivere più al di là della propria situazione. Quindi è una norma che riguarda temi anche diversi rispetto a fine vita e suicidio assistito e, anche in questo caso, la normativa è diversa per ogni nazione. Quanto alle cure palliative, non sono contro il fine vita e servono a ridurre il dolore e il male. Naturalmente, come succede in Italia e in altri Paesi, se le cure non portano a nessuna via d’uscita dalla malattia non cambiano la situazione del malato. Le cure palliative sono comunque una cosa positiva. In Italia esiste una norma che prevede le cure palliative, ma non sempre viene rispettata. Anzi, in alcune parti d’Italia le cure palliative non vengono attuate o sono attuate a singhiozzo e quindi le sofferenze dei pazienti sono indicibili”.

Manca una legge nazionale sul fine vita, ma esiste la possibilità di autosomministrarsi un farmaco letale. Una situazione apparentemente in contraddizione?

“In passato ci sono state azioni, svolte in particolare dall’associazione di Marco Cappato dove s’è verificata un’auto denuncia di chi ha accompagnato o aiutato una persona che soffriva al fine vita. Più volte è stato chiesto alla politica e al Parlamento di esprimersi con una norma in merito al fine vita perché tutti  i temi vengono normati. Penso ad esempio al diritto all’aborto che ormai è una scelta libera e acquisita. A fare giurisprudenza nel caso del fine vita è stata la sentenza della Corte Costituzionale del 22 novembre del 2019 che non punisce “l’aiuto al suicidio” in alcune determinate situazioni molto circoscritte. Se una persona è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale ad esempio, oppure in relazione all’alimentazione artificiale obbligatoria senza la quale non potrebbe vivere o è affetta da una patologia irreversibile (poi la Corte specificherà che la patologia è fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche). L’individuo comunque resta pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, ovviamente se è maggiorenne e in grado di esprimere una decisione libera. Pur mancando una legge non è punibile il suicidio assistito, quindi in un certo senso senza legge si è arrivati a definire una forma di possibilità di fine vita qualora ci siano determinate condizioni. Esiste una legge che vieta la somministrazione in maniera obbligatoria di trattamenti come l’alimentazione forzata se il paziente non vuole. Quindi la Corte si è appoggiata ad altre norme, non si è inventata nulla naturalmente. È evidente che manca ancora una legge nazionale perché non è possibile deliberare solo sulla base di sentenze. Si verificano “aree grigie”. Pensiamo ad una persona non attaccata a una macchina che è in grado di intendere e volere, ma ha una patologia irreversibile, come può accadere per alcuni tumori. Quando il paziente si trova dinanzi a una patologia assolutamente irreversibile stabilita dai medici, in teoria, non potrebbe usare questa possibilità perché appunto non ha un sostegno vitale formalizzato. Per questa ragione la legge va fatta, perché persone che soffrono in maniera indicibile poi alla fine possono essere trattate diversamente a seconda della norma. La questione rispondeva alla vicenda che riguardava il suicidio assistito, non rispondeva al tema del fine vita”.

La legge cui fa riferimento è quella proposta dall’Associazione Luca Coscioni? 

“Sulla base della sentenza della Corte Costituzionale l’associazione Luca Coscioni ha raccolto firme in quasi tutte le Regioni d’Italia per trovare delle procedure per attivare questa norma. Il motivo principale è che la sanità intanto è regionale, quindi la definizione delle procedure è regionale e non nazionale. La legge nazionale deve dare dei riferimenti, ma poi per le procedure su quello che è già stabilito (quindi la sentenza e la Corte Costituzionale) occorrono procedure di carattere regionale”.

Malattia Fine Vita

Si riferisce al caso di DJ Fabo?

“Sì, pensiamo al caso di DJ Fabo o altri casi più noti accaduti nelle Marche dove il paziente, pur avendo diritto al fine vita tramite suicidio assistito, poteva rientrare nella fattispecie della norma della Corte Costituzionale, ma le Aziende Sanitarie non davano risposta. Persone che soffrono in maniera indicibile che hanno fatto una scelta libera, essendo in grado di compierla, dove ci sono dei medici che garantiscono sul fatto che è una malattia irreversibile ma non possono arrivare al fine vita perché la burocrazia delle Aziende Sanitarie Locali di alcune regioni porta a tempi lunghi… anche tre anni”.

A cosa serviva la raccolta firme?

“La raccolta di firme sostanzialmente creava una procedura. Non interveniva su quali sono le fattispecie di fine vita, non si allargava a nulla. La sentenza resta quella della Corte Costituzionale, ma la differenza è che viene stabilita una procedura. Cioè entro un numero stabilito di giorni l’azienda sanitaria deve dare l’ok”.

Non sempre c’è chiarezza sui tempi e sulle procedure. La Regione E-R ha provveduto con una delibera a organizzare un percorso di valutazione certo e con tempi di risposta prefissati.

“Questa è una scelta giusta perché va nella direzione di fornire procedure certe. Parlando da esponente di +Europa, posso dire che è evidente come in Emilia-Romagna ci sia attenzione a non ripetere ciò che è accaduto in Veneto, perché su questo tema nessuno è a conoscenza se ci sia effettivamente una maggioranza nonostante il consiglio regionale dell’Emilia Romagna sia diverso da quello del Veneto. Molti casi di coscienza, che poi non si capisce coscienza su cosa, visto che parliamo di una legge dello stato e di una legge della corte costituzionale. Il presidente Bonaccini ha giocato d’anticipo operando la scelta e lasciando solo in un secondo tempo la discussione della norma prevista da Coscioni. Una raccolta firme che abbiamo fatto tutti noi e che ha raccolto il numero necessario per essere discussa nell’Assemblea Regionale dell’Emilia Romagna. È chiaro che anche Bonaccini e la Regione sostengano la necessità di una legge che definisca meglio la situazione, ma purtroppo ne è conseguito il solito ambaradan di polemiche politiche del tutto fuori luogo.”

Potrebbe essere più specifico?

“Voglio dire, non si parla niente di più di quello che già la Corte Costituzionale prevede. La richiesta della legge nazionale è giusta, ma poi il resto è veramente fuori luogo secondo me. Non stiamo parlando di grandi principi, parliamo di procedure necessarie per attivare una possibilità che già è prevista e che quindi è un diritto delle singole persone che ne facciano richiesta. Non credo piaccia a nessuno trovarsi in condizioni di terribili sofferenze. Noi di +Europa diciamo che le persone che possono farlo devono poter scegliere liberamente non imponendo niente a nessuno. Se uno vuole soffrire lo faccia, ma un minorenne non può fare delle scelte libere. Assistiamo a follie talvolta”.

Personalmente non sono sorpreso che il Cardinale Zuppi manifesti contrarietà rispetto a queste scelte…

“Libera Chiesa in Libero Stato come diceva qualcuno. Chiaramente il Cardinale Zuppi può definire come elemento centrale il rispetto della vita anche quando non è più vita, ma questa è una scelta religiosa che io rispetto, non c’è nessun problema. Noi siamo lo Stato però ed esso deve definire le possibilità reali dei singoli cittadini che possano scegliere liberamente dentro a un quadro normativo. Che una persona debba essere costretta ad andare in un altro Paese perché in Italia non c’è neanche la minima possibilità di scelta a noi sembra assurdo e pensiamo che sia anche contro l’etica comune che è cambiata! Abbiamo raccolto un numero spropositato di firme per il referendum che fu bocciato dalla Corte di Cassazione. A firmare si presentarono persone del tutto normali, insomma non “radicali strani” (ride, ndr). Queste persone si domandavano semplicemente: se capitasse a me posso scegliere oppure no? Furono un milione e mezzo in Italia i firmatari e oltre 10.000 a Ravenna”.

fine vita


Per quanto riguarda la raccolta firme per il progetto di legge regionale invece?

“In Regione sono state raccolte più da 8.000 firme e ricordo che ne servivano 5.000 almeno. Il referendum non riguardava un referendum nazionale, ma ricordava proprio la proposta di legge. Occorrono 5.000 firme per far sì che una proposta di legge possa essere obbligatoriamente ascoltata in consiglio regionale”.

L’iter previsto dalla Regione prevede la messa in atto del suicidio assistito entro 42 giorni dalla domanda: entro 3 giorni dalla presentazione della domanda del paziente la richiesta viene inviata alla Commissione di valutazione.

“Sì, la Commissione fa una valutazione e deve rispondere entro una data definita. Le Aziende Sanitarie in questa maniera, dopo la risposta positiva della Commissione, avrebbero l’obbligo di prendersi carico della persona nei tempi stabiliti. Noi di +Europa pensiamo che queste norme siano troppo restrittive, sia chiaro. Però comunque si fa un passo alla volta, perché questo è un Paese difficile”.

Il 14 dicembre 2017 il Parlamento italiano ha approvato la legge sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) o testamento biologico. È stato un passaggio fondamentale? 

“Il Consenso informato è importantissimo perché è un passaggio che ha consentito alla Corte Costituzionale di rispondere poi sul suicidio assistito. Quella sul DAT era una norma che già prevedeva la possibilità di non avere un obbligo di eccesso di cura laddove non fosse necessario”.

Non dimentichiamo anche il Consenso informato. La legge n. 219 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 16 gennaio 2018, ed è entrata in vigore il giorno 31 gennaio 2018.

“La libertà di scelta che proponiamo deve essere collegata a un consenso informato e a un protagonismo delle persone che prendano in carico la questione in termini di responsabilità. Non c’è un dio o qualcun altro che decide per te. Per quanto riguarda le DAT è già così e mentre raccoglievano le firme promuovevamo anche la sottoscrizione della propria situazione in modo che le persone potessero fornire un’indicazione preventiva, nel caso avessero un’incapacità di autodeterminarsi a un certo punto del percorso. Le persone potevano rifiutare trattamenti specifici molto invasivi o che tenevano artificialmente in vita”.

L’Italia come si pone nel contesto europeo?

“Siamo indietro. Tutti i paesi del nord Europa sono già normati in maniera chiara da tempo. Anche la Spagna tra i paesi mediterranei è sul pezzo. In Italia persiste una tradizione di una certa tipologia. Tuttavia se andiamo a parlare con le persone, qualunque sia la religione che professano o la fede che hanno su questo argomento c’è davvero un’ampia apertura a ragionare nel merito piuttosto che a ragionare su un’etica lontana. Le persone preferiscono ragionare su un’etica reale di vita. Il problema vero è che non basta una maggioranza che lo pensa perché al referendum non siamo arrivati, però evidentemente ci sono delle aree politiche che sono trasversali che frenano su questo ambito per ragioni che non sono collegate al merito, ma semplicemente ad un’etica lontana. Io vorrei che l’etica fosse più vicina alle persone e questo non impedisce, naturalmente, di attivare il più possibile cure palliative, la libertà di scelta, ecc. Il punto è non obbligare alcuno a seguire una dinamica che non è sentita come propria”.

C’è chi sostiene che quello del suicidio assistito sia un bisogno che va evitato e che si possa evitare con le cure palliative. Che ne pensa?

“Mi sembrano opinioni che poco hanno a che vedere con la sofferenza delle persone. Ripeto fino allo sfinimento che le cure palliative sono una buona cosa e che devono essere utilizzate ed essere a disposizione. Bisognerebbe andare però a vedere se le cure palliative funzionano sul suono italiano e fare una veloce ricerca. In questo modo si capisce che in realtà, per mille ragioni, le cure palliative non funzionano. Sarebbe bellissimo se funzionassero e fossero davvero offerte a tutti i pazienti bisognosi, ma questo non toglie che con le cure palliative il male non se ne va. Le ragioni per cui le cure non funzionano sono legate all’assenza di finanziamenti, ai costi, ecc. Vivere attaccati ad una cura palliativa che può portare avanti una ‘non vita’ non è una soluzione che tutti possono accettare”.

Quali prossimi passaggi auspicate come +Europa in termini di fine vita?

“Innanzitutto salutiamo positivamente la scelta della regione Emilia Romagna, anche se forse è stata una scelta più di carattere tattico, ma è comunque importante ottenere un risultato concreto. Ora faremo il possibile per ottenere un risultato ancora più concreto sulla libertà di scelta delle persone in ambito nazionale. Semplicemente, allargando le occasioni in cui si può utilizzare una forma controllata verificata e, come dire, cosciente di scelta sul fine vita alle singole persone in accordo con le strutture mediche o quelli che saranno i comitati che dovranno valutare le richieste. Non è più una questione solo di tenersi attaccati alla macchina o no, ma anche di avere una malattia terminale e sopportabile dal punto di vista della vita delle persone in cui uno possa scegliere se vuole, oltre che le cure palliative, anche di definire un momento in cui non ce la fa più. Ecco, quindi non ci aspettiamo una legge nazionale, per questo ci batteremo e a volte siamo anche abbastanza sfiduciati dal fatto che quando si tratta di andare a decidere una cosa su cui gli italiani hanno un’opinione a maggioranza assolutamente evidente, poi bastano piccoli gruppi interni ai singoli partiti a bloccare una discussione. E questo non avviene solo nella destra, ma anche nella sinistra. Porteremo questo punto fondamentale a partire da una possibile regolamentazione europea che proporremo alle prossime elezioni europee”.

Commenti

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  1. Scritto da Maurizio Marendon

    Si smettere di soffrire va bene ma anche non morendo! Abbiamo ancora malattie conclamate ma non riconosciute dallo stato italiano, come ad esempio la fibromialgia, malattia considerata invalidante, ma per la quale non si ha alcun aiuto.